La censura a
Sabina Guzzanti
Sabina Guzzanti, insieme al fratello Corrado, è molto nota al grande pubblico per via della sua satira pungente, acuta, intelligente. Negli anni ’90 i suoi programmi satirici hanno sempre registrato un altissimo share. I problemi per Sabina Guzzanti incominciano nel 2003 quando, sotto il secondo governo Berlusconi, realizza RaiOt, un programma di satira che dovrebbe andare in onda la domenica in seconda serata.
Tra non poche difficoltà, la sera del 16 novembre 2003 si riesce a mandare in onda la prima delle sei puntate previste. La Guzzanti mette a nudo con ironia i problemi che affliggono il settore informativo: dalla censura al conflitto di interessi, dalla crescita dell’impero Mediaset al carattere “abusivo” di Rete4 (sulla puntata e sugli strascichi giudiziari che ne derivarono si veda Il caso RaiOt). La puntata registra uno share medio del 18%, con punte fino al 26%. Un successo, quindi.
Le reazioni all’indomani della trasmissione destano preoccupazioni, soprattutto se si considera che la puntata seguente verterà sulla giustizia. Secondo molti esponenti del centrodestra, quella della Guzzanti non è satira, perché “la satira non deve fare informazione” (e sul non senso di questa affermazione si veda Satira verità e satira informativa). Subito si preparano le giustificazioni della maggior parte dei membri del Cda Rai per la soppressione del programma che, come per ogni censura, si rivelano pretestuose, contraddittorie e false.
La prima. La messa in onda di RaiOt non può continuare per rispetto dei soldati italiani che pochi giorni prima (il 12 novembre) sono morti nell’attentato di Nassiriya, quando continuano ad essere trasmessi programmi come L’isola dei famosi e dopo che la Rai addirittura ha coperto con uno stacco pubblicitario il minuto di silenzio precedente il calcio di inizio di una partita della Nazionale, decretato proprio in onore ai caduti di Nassiriya. La seconda. Mediaset ha appena sporto querela ai danni della Guzzanti, di alcuni collaboratori del programma e del direttore di Rai3 Ruffini per diffamazione aggravata (querela che il gip di Milano archivierà nel 2004): se si riconoscesse un generale diritto di veto sui programmi Rai a chiunque, sentendosi leso nella sua onorabilità, sporge denuncia, si azzererebbe il diritto all’informazione.
La terza è certamente la più odiosa. Una frase pronunciata dalla Guzzanti nel corso della puntata del 16 novembre viene incredibilmente (ma da alcuni volutamente) travisata. La Guzzanti giudica “assurde” le polemiche suscitate da un sondaggio effettuato dalla UE, da cui è risultato che il 60% degli intervistati ritiene che Israele e USA siano i paesi che maggiormente minacciano la pace nel mondo: sondaggio che secondo alcuni ha fatto riemergere i fantasmi dell’antisemitismo. La Guzzanti ritiene infondata l’accusa di antisemitismo che alcuni hanno rivolto al campione degli intervistati, perché – dice testualmente – “che c’entra l’antisemitismo? La risposta era Israele, mica la razza ebraica!”.
Il ragionamento della Guzzanti non fa una piega. E’ contro la politica governativa di Israele, non certo contro gli ebrei, che gli intervistati hanno espresso le loro riserve. Qui la frase “razza ebraica” viene dalla Guzzanti messa idealmente nella bocca di un ipotetico campione antisemita, proprio per ben distinguerlo da quel 60% di intervistati che condannano Israele. Ebbene, nel centrodestra si grida allo scandalo e la Guzzanti viene tacciata di razzismo. Il ministro Gasparri, cresciuto nel Msi ed esponente di un partito che non ha mai rinnegato il fascismo, in una trasmissione su Rete4 arriva a gridare che “la Guzzanti ha offeso la razza ebraica!”.
E’ in questo clima che matura la censura di RaiOt, criticata dagli organi di informazione di tutto il mondo. Il Cda adotta la tecnica collaudata con Biagi e Santoro: si mostra favorevole alla continuazione del programma, a condizione che le rimanenti cinque puntate vengano preventivamente esaminate (almeno una settimana prima) dal direttore di Rai3, dall’ufficio legale, dal direttore generale e dallo stesso Cda, i quali potranno “fare le eventuali obiezioni […] qualora i contenuti violassero la legge o non fossero sufficientemente documentati”. La Guzzanti e i responsabili del programma si rifiutano. RaiOt viene soppresso.
Che RaiOt sia stato oggetto di una vera e propria censura appare chiaro. Le motivazioni addotte per giustificarne la sospensione (poi diventata soppressione) sono quantomeno grottesche; e odiose con riferimento alle polemiche scaturite dalla travisata frase della Guzzanti sulla “razza ebraica”. Frase che, lungi dal voler offendere, era tesa proprio a stigmatizzare il razzismo.
Quanto poi alla insignificante affermazione secondo cui la satira non deve fare informazione, se ne parla diffusamente in Satira verità e satira informativa. Qui basti ricordare che la satira, pur non soddisfando esigenze informative, non è affatto incompatibile con la narrazione e l’elaborazione dei fatti. Se per definizione la satira consente una distorsione dei fatti, a maggior ragione è lecita quando aderisce alla realtà. Anzi, la satira che, per scelta dell’autore, è fedele ai fatti presenta un basso rischio di lesività.
Del caso in questione va trattato soprattutto l’atteggiamento del Cda Rai. Va analizzata la delibera con cui si è previsto il potere del direttore di Rai3, dell’ufficio legale, del direttore generale (e del Cda stesso) di “fare le eventuali obiezioni […] qualora i contenuti violassero la legge o non fossero sufficientemente documentati”.
A ben vedere, è proprio con questa delibera che la Rai manifesta una chiara volontà di censura, imponendo un controllo preventivo. Si è già visto che in ambito radiotelevisivo non è riscontrabile un potere analogo a quello che l’art. 57 del codice penale conferisce al direttore responsabile di un periodico, il quale ha l’obbligo di “impedire che col mezzo di comunicazione siano commessi reati”. Gli unici poteri di controllo di cui la concessionaria televisiva dispone sono quelli previsti dall’art. 30, comma 3°, L. n. 223/1990, esercitabili al solo scopo di impedire la commissione dei reati di pubblicazione oscena (art. 528 c.p.), di pubblicazione lesiva del sentimento di fanciulli e adolescenti (art. 14 L. n. 47/1948), di pubblicazione impressionante o raccapricciante (art. 15 L. n. 47/1948).
Ora, dal tenore della delibera, emanata proprio in seguito alle polemiche scaturite dai contenuti della prima puntata di RaiOt, appare chiaro che il controllo dei vertici Rai va ben al di là di quanto consente il succitato art. 30. comma 3°, L. n. 223/1990. In effetti, appare inverosimile che i contenuti delle successive puntate di RaiOt potessero provocare quelle violazioni che i controlli previsti dall’art. 30, comma 3°, L. n. 223/1990 vogliono prevenire. E’ evidente, quindi, che il Cda voleva esercitare un controllo preventivo sul contenuto del programma, riservandosi il diritto di modificare o bloccare quelle parti che, a suo insindacabile giudizio, fossero risultate eccessivamente critiche nei riguardi di quella parte politica già bersagliata nel corso della prima puntata (l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in modo particolare).
Tra l’altro, vi è un particolare della delibera che non può passare inosservato. Con essa i vertici Rai si riservano eventuali obiezioni qualora “i contenuti […] non fossero sufficientemente documentati”. E’ molto probabile che il Cda non si sia nemmeno reso conto della gravità di una simile affermazione, peraltro riportata in forma scritta. In pratica qui il Cda Rai dimostra di voler assolvere ad una funzione analoga a quella che svolge la magistratura, quando riconosce il diritto di cronaca sulla base della documentazione offerta in giudizio dalla parte che ha l’onere di provare la verità dei fatti narrati.
Con questa differenza, però. La magistratura interviene in un’ottica sanzionatoria, ossia dopo la commissione del supposto illecito. Qui, invece, la delibera conferisce al Cda Rai il potere di intervenire preventivamente sul contenuto di una manifestazione di pensiero, addirittura subordinando la messa in onda del programma alla prova documentale della verità dei fatti riportati. Il tutto in clamorosa violazione dell’art. 21, comma 2°, Cost., il quale stabilisce che “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.