La censura a
Paolo Rossi

La satira di Paolo Rossi è spesso ispirata a famosi classici. Nel gennaio 2005 la Rai decide di mandare in onda Questa sera si recita Molière, uno spettacolo che si ispira ad alcune farse del famoso drammaturgo francese, già presentato con grande successo due anni prima nei teatri italiani. La commedia vede protagonista il dottor Sganarelli, un medico ciarlatano che convince i propri ingenui pazienti a bere il suo miracoloso unguento, arricchendosi sulla loro ignoranza. Qui la medicina è una metafora del potere, gestito da persone false, ipocrite e senza scrupoli, che approfittano dell’ignoranza altrui per avere “carta bianca” nel perseguimento dei propri interessi.

Lo spettacolo è previsto in due atti. Il primo va in onda su Rai2 alle 00,50 di sabato 8 gennaio 2005 e viene visto da 1.600.000 telespettatori: un risultato eccezionalmente positivo, in considerazione dell’orario. La programmazione del secondo atto è prevista per il sabato successivo (15 gennaio). Ma il giorno prima l’ufficio stampa Rai annuncia la soppressione del programma, in quanto “è risultato fuori dalle linee editoriali della rete, per problemi di linguaggio e non certo di contenuti”. Curiosamente il comunicato precisa che “non si tratta di censura politica, ma di rispetto per il pubblico della rete”. Il direttore di Rai2 Massimo Ferrario specifica poi che si tratta di “pulizia linguistica”, avendo nel secondo atto “contato ben dieci parolacce”.

In molti ambienti appare evidente che si tratta di censura politica, per via della scomoda metafora che mostra i potenti “ciarlatani”, specializzati nel prendere in giro il popolo raccontandogli bugie e promettendogli cose che non manterranno mai, al solo scopo di arricchirsi. La decisione è ancor più imbarazzante se si pensa che lo spettacolo è stato trasmesso senza problemi in Polonia e in Albania dalle rispettive televisioni pubbliche.

Paolo Rossi era già stato oggetto di censura nel novembre 2003, quando, invitato da Paolo Bonolis a Domenica in, gli fu proibito all’ultimo momento di leggere un discorso tenuto da Pericle nel 461 a.C., che elogiava la democrazia di Atene caratterizzata dalla prevalenza del bene pubblico sugli affari privati, dal rispetto delle leggi e dalla tolleranza verso gli stranieri. Pertanto, Paolo Rossi non ci sta e cita in giudizio la Rai per la mancata messa in onda del secondo atto di Questa sera si recita Molière e per la diffamazione derivante dall’aver pubblicamente attribuito a Paolo Rossi, per bocca del direttore di rete, l’uso di un linguaggio triviale, chiedendo 5 milioni di Euro di risarcimento danni da devolvere in beneficenza.

(Fatti tratti da: GOMEZ TRAVAGLIO, Inciucio, BUR, Milano 2006, pag. 257 ss.)
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Uno degli elementi presuntivi che nel caso in questione funge da spia rivelatrice dell’esistenza di un comportamento censorio è dato dagli altissimi ascolti ottenuti con il primo atto, nonostante la fascia oraria. E, non di meno, la circostanza che la Rai ha acquistato il programma dalla casa di produzione, pagando anche i diritti d’autore, in tal modo sprecando risorse economiche ed organizzative. In altre parole, il fatto che il medesimo soggetto abbia in breve tempo rinunciato a trasmettere il seguito di uno spettacolo subito rivelatosi seguitissimo, e dopo essersi prodigato per la sua messa in onda, fa presumere che la decisione finale sia stata adottata obtorto collo.

Un ulteriore elemento presuntivo è dato dalle motivazioni addotte dalla Rai per giustificare la soppressione del programma, riassumibili nel linguaggio scurrile che caratterizzerebbe l’opera. A detta del direttore di Rai2, il secondo atto conterrebbe “ben dieci parolacce”.

In linea puramente teorica, qui la censura potrebbe essere giustificata dall’art. 30, comma 3°, L. n. 223/1990, il quale impone ai vertici Rai, come ai vertici delle concessionarie private, un controllo sui programmi (l’unico consentito dalla legge) per impedire la commissione dei reati di pubblicazione e spettacoli osceni (art. 528 c.p.), di pubblicazione lesiva del sentimento di fanciulli e adolescenti (art. 14 L. n. 47/1948), di pubblicazione impressionante o raccapricciante (art. 15 L. n. 47/1948): ciò in osservanza dell’art. 21, comma 4°, Cost. che vieta le manifestazioni contrarie al “buon costume”. E nel caso in questione il reato che potrebbe prefigurarsi è quello di cui all’art. 528 c.p. (pubblicazione e spettacoli osceni).

Ma l’argomentazione non può reggere, principalmente per due motivi. Il primo. Il concetto di “osceno” è certamente meno rigido di quello che vigeva nel 1930, quando la norma fu concepita e inserita nel codice penale (“Rocco”) tuttora in vigore. Tant’è che la giurisprudenza ne ha sempre dato un’interpretazione molto restrittiva, arrivando a negare a priori carattere di oscenità a qualsiasi espressione comunque riconducibile ad una manifestazione artistica. In altre parole, laddove vi è arte non può esserci oscenità. Di conseguenza, non può attribuirsi carattere osceno ad un programma ispirato all’opera di un artista del calibro di Molière, per il solo fatto di contenere alcune parolacce.

Il secondo motivo che impedisce di ricondurre la soppressione del programma di Paolo Rossi al potere di controllo della Rai per impedire la commissione del reato di cui all’art. 528 c.p., è dato dalla circostanza che la Rai manda in onda pressoché quotidianamente programmi contenenti parolacce, alcuni dei quali addirittura nella cosiddetta “fascia protetta”, ossia quella destinata ai minori. La circostanza è ben evidenziata nell’atto di citazione redatto dal legale di Paolo Rossi (in gran parte riportato nel libro GOMEZ TRAVAGLIO, Inciucio, BUR, Milano 2006, pag. 261 ss.). L’atto evidenzia come il contenuto di molti programmi televisivi (in modo particolare i reality come Il ristorante, L’isola dei famosi, La Talpa, ma anche altri programmi) si basi su litigi e pettegolezzi il cui sfondo è costituito da trivialità di ogni tipo, chiaramente percepibili e certamente non dettate da esigenze artistiche. E i suddetti programmi vanno in onda addirittura durante la “fascia protetta”, per la quale il Codice di autoregolamentazione tv e minori emanato dal Ministro per le Comunicazioni il 29.11.02 impone “programmazioni idonee ai minori con un controllo particolare sia sulla programmazione sia sui promo, i trailer e la pubblicità trasmessi”.

Va inoltre rilevato che è la stessa legge ad incoraggiare espressamente la messa in onda di spettacoli come quelli di Paolo Rossi. L’art. 17, comma 2°, L. n. 223/2004 stabilisce che “Il servizio pubblico generale radiotelevisivo […] garantisce […] un numero adeguato di ore di trasmissioni televisive e radiofoniche dedicate […] alla promozione culturale, con particolare riguardo alla valorizzazione delle opere teatrali, cinematografiche, televisive”.

Pertanto, si deve necessariamente concludere che nella vicenda della soppressione del programma di Paolo Rossi vi siano diversi elementi che fanno fondatamente pensare che il provvedimento relativo sia stato emesso per motivi ben diversi da quelli enunciati, e su pressioni provenienti da ambienti esterni alla struttura Rai.