Berlusconi telefona a Ballarò:
uso improprio
del mezzo televisivo
Bologna, 19 novembre 2008
(avv. Antonello Tomanelli)
Per un momento alcuni avranno pensato ad un collegamento telefonico con Sabina Guzzanti. Invece è proprio il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ad aver telefonato in diretta a Ballarò, per portare un duro attacco ad Antonio Di Pietro ed un’aspra critica dal sapore intimidatorio al segretario della Cgil Guglielmo Epifani, presente alla trasmissione. Al cospetto di un sorpreso Giovanni Floris, che alla formulazione di una domanda si è sentito buttare giù il telefono.
Una telefonata che forse non rappresenterà un caso di “uso criminoso” della tv pubblica. Forse sarà l’indice di una condizione psicologica del presidente del Consiglio non proprio ottimale. E forse Floris avrebbe potuto fare di più, avendo dalla sua la Carta dei Doveri, che gli impone di non subordinare la propria responsabilità verso i cittadini “ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del Governo o di altri organismi dello Stato”. Sta di fatto che, per quanto ci si sforzi, riesce difficile ipotizzare che l’irrompere del capo del Governo in una trasmissione di approfondimento informativo all’infuori di un formale invito possa essere ritenuto conforme alle regole di una moderna democrazia.
Ciò in quanto i monologhi televisivi delle alte cariche dello Stato sono sì previsti dalla legge, ma in tutt’altro contesto. L’art. 33 del D.Lgs. n. 177 del 2005 (Testo Unico della Radiotelevisione) stabilisce che “La società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo è tenuta a trasmettere i comunicati e le dichiarazioni ufficiali del presidente della Repubblica, dei presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, del presidente del Consiglio dei Ministri e del presidente della Corte Costituzionale, su richiesta degli organi medesimi, facendo precedere e seguire alle trasmissioni l’esplicita menzione della provenienza dei comunicati e delle dichiarazioni” (comma 2°); e che “Per gravi ed urgenti necessità pubbliche la richiesta del presidente del Consiglio dei Ministri ha effetto immediato. In questo caso egli è tenuto a darne contemporanea comunicazione alla Commissione Parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi” (comma 3°).
La ratio della norma è evidente. Le massime cariche dello Stato possono disporre del mezzo radiotelevisivo per rivolgersi alla collettività, ma solo in casi eccezionali e nell’ottica del perseguimento dell’interesse generale. Al di fuori di tale ipotesi, qualsiasi loro intervento si risolverebbe in un’indebita interferenza con la funzione informativa, che è prerogativa del giornalista. Il monologo di Berlusconi non poggiava sull’ombra di nemmeno uno di quei presupposti di legge. Per diversi minuti il presidente del Consiglio si è impadronito del mezzo televisivo e ha alterato la scaletta di una trasmissione di approfondimento informativo solo per attaccare Di Pietro e il leader della Cgil.
Non si può arrivare a dire che con quella telefonata Berlusconi abbia commesso i reati di "abuso d'ufficio" o di "interruzione di pubblico servizio". Ma non c'è dubbio che quanto più un'alta carica dello Stato occupa una trasmissione di approfondimento informativo al di fuori dei presupposti stabiliti dalla legge, tanto più ci si allontana dal sacrosanto principio democratico dell'autonomia dell'informazione dalla sfera politica. Diciamo che può parlarsi quantomeno di "uso improprio del mezzo televisivo".
Tra l’altro, l’attacco a Di Pietro si è rivelato quanto mai scoordinato. Nel replicare all’ex magistrato che nelle precedenti ore lo aveva accusato di essere un “corruttore politico”, ha preannunciato nei suoi confronti una denuncia per calunnia. Francamente, non si capisce su quali basi.
Essere un corruttore politico è cosa ben diversa dall’essere un corruttore. “Corruttore politico” è chi tenta di ingraziarsi un avversario politico per farlo passare dalla propria parte, magari offrendogli un prestigioso incarico. Proprio come fece Berlusconi quando offrì a Di Pietro un ministero all’indomani di Mani Pulite e della sua prima vittoria elettorale. E come, stando a quel che dice Di Pietro, lo stesso Berlusconi ha fatto recentemente con Orlando e Villari in relazione alla nota vicenda della presidenza della Commissione di Vigilanza.
Insomma, un comportamento piuttosto consueto in politica. E, soprattutto, non costituendo reato, un comportamento lontano anni luce da quella corruzione, penalmente rilevante, che nella stragrande maggioranza dei casi consiste nell’offrire a un pubblico ufficiale denaro o altra utilità per compiere un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio. Di qui l’infondatezza della denuncia per calunnia che Berlusconi ha minacciato di presentare contro Di Pietro, consistendo la calunnia nel comportamento di chi (peralro solo con querela o denuncia all'Autorità Giudiziaria) accusa falsamente qualcuno di aver commesso un reato.