Picconata di Cossiga:
questa volta è
istigazione a delinquere

Bologna, 30 ottobre 2008

(avv. Antonello Tomanelli)

Non si può dire con certezza che vi sia un nesso di causalità tra le dichiarazioni rese da Francesco Cossiga e quanto accaduto ieri a Roma, dove un gruppo di neofascisti, stando a numerose testimonianze, a bordo di un camion carico di armi improprie ha incredibilmente eluso i controlli di polizia ed ha aggredito gli studenti in corteo. E’ sicuro però che quelle dichiarazioni lasciano attoniti, se si pensa che costituiscono reato e che provengono da un giurista ed ex presidente della Repubblica.

Quelle dichiarazioni sono ormai note. In un’intervista rilasciata il 25 ottobre a “Quotidiano Nazionale”, l’ex presidente della Repubblica, dall’alto dell’esperienza maturata in qualità di ministro dell’Interno nel ’77, dispensa consigli a Maroni su come neutralizzare la protesta studentesca contro la riforma Gelmini. “Maroni dovrebbe fare quel che feci io quando ero ministro dell’Interno”, dice. Riferendosi in particolare agli studenti universitari, suggerisce di “lasciarli fare” e di “ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città”. “Dopo di che […] mandarli tutti all’ospedale. Non arrestarli, che tanto i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano”.

Bisogna concentrarsi sulla soluzione auspicata da Cossiga. In particolare, quella che vuole le forze dell’ordine “ritirate” in modo da lasciare i manifestanti mettere “a ferro e fuoco le città”. Tecnicamente, ciò che Cossiga vorrebbe che i manifestanti facessero è previsto e punito con la reclusione da 8 a 15 anni dall’art. 419 del codice penale, reato intitolato “devastazione e saccheggio”, che altro non è che un’azione prolungata e indiscriminata di danneggiamento e di furto posta in essere da un numero indeterminato di persone.

Il problema, però, è che secondo il metodo Cossiga questi reati andrebbero incoraggiati attraverso il ritiro delle forze dell’ordine e l’utilizzo di “infiltrati”. Un’azione deliberata, quindi, volta a favorire la commissione del reato di devastazione e saccheggio da parte dei manifestanti. Deliberata da chi, come il ministro dell’Interno (che controlla l’ordine pubblico a livello nazionale), per posizione istituzionale ha invece l’obbligo di prevenire i reati. E l’art. 40, comma 2°, del codice penale parla chiaro: “Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. In quest’ottica, il ministro dell’Interno Maroni, se seguisse alla lettera i consigli di Cossiga, commetterebbe il reato di devastazione e saccheggio in concorso con i manifestanti.

Anche la reazione delle forze dell’ordine, così come auspicata da Cossiga, consistente nel “mandare tutti all’ospedale” una volta cessate le devastazioni, costituirebbe evidentemente reato, per il semplice fatto che un tale comportamento non potrebbe rientrare né nella legittima difesa né nell’uso legittimo delle armi, figure che escludono la responsabilità penale solo in quanto operino in un’ottica di prevenzione dei reati.

Le esternazioni di Cossiga non sono pura manifestazione del pensiero, riconducibili all’art. 21 Cost., ma consigli tecnici su come gestire un ministero in una fase delicata. Cossiga è stato ministro dell’Interno nel periodo forse più nero della Repubblica, con riferimento al problema dell’ordine pubblico. I suoi sono quindi consigli molto autorevoli, anche in considerazione della sua qualità di ex capo dello Stato, dispensati a beneficio dell’attuale ministro Maroni, il quale, oltre ad essere molto più giovane, vanta un’esperienza e un’autorevolezza nettamente inferiori.

In altre parole, vi sono quegli elementi che la giurisprudenza ritiene sufficienti perché si possa parlare di un comportamento (quello di Cossiga) “idoneo a provocare la commissione di delitti”, dove qui i delitti sarebbero quelli (eventuali) di Maroni che ritira le forze dell’ordine lasciando che i manifestanti mettano a ferro e fuoco le città, per spedirle poi contro i manifestanti in un’ottica di pura rappresaglia. Concorrendo così nella commissione dei relativi reati.

In termini tecnici, bisogna concludere che Cossiga, pronunciando quelle frasi, ha commesso il reato di istigazione a delinquere (art. 414 del codice penale), che punisce “chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati”.