L'attacco ad Annozero:
ancora si parla a sproposito
di contraddittorio
Bologna, 25 ottobre 2008
(avv. Antonello Tomanelli)
Altre critiche a Michele Santoro sul modo di condurre “Annozero”, proprio quando la trasmissione fa registrare ascolti record (20,5 % di share, oltre 5 milioni di telespettatori). Il presidente del Senato Schifani accusa Marco Travaglio di aver dato cifre errate sulle spese a bilancio del Senato “senza contraddittorio alcuno”. Poi Maurizio Gasparri si lamenta che la troupe di “Annozero” non ha dato la parola a tal Mattia Kolletzek, uno studente di Azione Universitaria (gruppo che fa capo ad An) che dalla piazza Maggiore di Bologna, in collegamento con la trasmissione, aveva chiesto di intervenire in diretta sulla riforma Gelmini.
E ancora una volta le critiche originano da un travisamento del concetto di informazione, che porta chi critica a pretendere sempre e comunque il contraddittorio.
Niente di più sbagliato. Quello del contraddittorio è un principio che esula dal concetto di informazione. L’informazione, che è generata dal giornalista, nasce nel momento in cui viene fornita una “notizia”. Ossia quando un “fatto”, che logicamente si caratterizza per la sua unicità, viene acquisito dalla collettività. Quel fatto o è vero o è falso, o esiste o non esiste.
Pretendere il contraddittorio nel momento in cui viene comunicata una notizia (ossia il fatto) significa porre le condizioni perché quel fatto non venga acquisito dalla collettività. Del contraddittorio, infatti, è parte colui che ha un interesse contrario alla divulgazione di quel fatto. Tant’è che lo smentirà decisamente. Con il risultato che la notizia non viene acquisita. Il contraddittorio applicato all’informazione produce un evidente paradosso: una notizia nasce per essere smentita.
Come è noto, il contraddittorio è un istituto tipicamente processuale. Pone su un medesimo piano le parti di un processo. Parti, però, che non hanno l’obbligo di dire la verità, anzi. Chi invece produce informazione (ossia il giornalista) è vincolato al dovere deontologico di verità. Applicando il principio del contraddittorio all’informazione si ottiene una conseguenza assurda: si pone chi è vincolato all’obbligo di verità sullo stesso piano di chi non è destinatario di quell’obbligo e ha tutto l’interesse a mentire.
Del resto, che l’applicazione del principio del contraddittorio all’informazione sia un non senso è la stessa legge a farcelo capire, laddove prevede l'istituto della rettifica. Questa può essere richiesta da “chiunque si ritenga leso nei suoi interessi materiali o morali da trasmissioni contrarie a verità” (art. 32 del Testo Unico della Radiotelevisione del 2005). In altre parole, chi in un programma si ritiene danneggiato da una notizia non vera può chiedere che, entro 48 ore, venga smentita dalla stessa emittente che l’ha diffusa. L’emittente può anche non rettificare, assumendosi le sue responsabilità se la notizia, in un eventuale giudizio, si rivelasse falsa.
Ora, a ben vedere, la stessa applicazione del principio del contraddittorio all’informazione si risolve in una rettifica. Con due notevoli differenze, però. Qui la rettifica viene effettuata nel medesimo contesto spaziale e temporale della notizia. Per giunta, non dall’emittente, come prevede la legge, ma dallo stesso soggetto interessato, che peraltro rettificherà sempre. E se si tiene presente che la rettifica, per sua natura, ha lo scopo di neutralizzare gli effetti lesivi che la diffusione della notizia falsa ha causato, ne deriva che l’applicazione del principio del contraddittorio all’informazione produce l’effetto di neutralizzare le notizie vere.
Il presidente del Senato Schifani può chiedere formale rettifica. Che Santoro prontamente trasmetterà nel corso della prossima puntata, se i dati forniti da Travaglio si rivelassero errati. Ma, per i motivi ora detti, non può certo stigmatizzare la trasmissione perché ha fornito la notizia in assenza di qualcuno che la neutralizzare a priori.