Una grossa ingenuità
costa a Travaglio
una condanna per diffamazione
Bologna, 16 ottobre 2008
(avv. Antonello Tomanelli)
I suoi detrattori saranno contentissimi. Marco Travaglio è scivolato sulla classica buccia di banana, ben visibile ad un giornalista preparato e meticoloso come lui. Ma a vederla è stato il Tribunale di Roma, che lo ha condannato ad 8 mesi e alla multa di 100 Euro per aver diffamato Cesare Previti in un articolo del 3 ottobre 2002 pubblicato su “L’Espresso”.
L’articolo, intitolato “Patto scellerato tra mafia e Forza Italia”, si basa sulle dichiarazioni rilasciate nel ’95 al colonnello dei Carabinieri Michele Riccio dal boss mafioso Luigi Ilardo, uomo d’onore vicino a Bernardo Provenzano, freddato sotto casa da due sicari nel maggio 1996. Dichiarazioni che Riccio confermerà davanti ai giudici di Palermo nel processo contro Marcello Dell’Utri, che nel dicembre 2004 sarà condannato a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
L’articolo fa luce sul patto elettorale che nel 1993 i boss di Cosa Nostra strinsero con la neonata "Forza Italia", che di lì a poco avrebbe vinto le elezioni, in cambio di trattamenti legislativi di favore. Interlocutore della mafia è proprio Marcello Dell’Utri. Travaglio riporta dichiarazioni poi confluite in atti giudiziari, tecnicamente fonti ufficiali. Pienamente rispettato, quindi, il requisito della verità (almeno putativa).
Non può minimamente condividersi l’opinione di Filippo Facci. Questi, in un duro articolo pubblicato su “Il Giornale”, considera illecito già il sottotitolo (“Un uomo d’onore parla a un colonnello dei rapporti tra Cosa Nostra e politica. E viene ucciso prima di pentirsi”) riconducendolo al cosiddetto “sottinteso sapiente”.
Il sottinteso sapiente è un concetto probabilmente sconosciuto a Facci, in quanto creato dalla giurisprudenza. Rappresenta una fattispecie di violazione del requisito della continenza formale. Si ha quando l’articolista adopera un termine sapendo che il lettore lo interpreterà in maniera contraria o comunque diversa da quanto obiettivamente suggerirebbe il dato letterale, stimolando così un giudizio negativo e amplificando gli effetti lesivi (un caso classico è l’uso delle “virgolette” o degli eufemismi).
Francamente, non si capisce dove sia qui il “sottinteso sapiente”. Luigi Ilardo era un confidente del colonnello Riccio, ma che formalmente manteneva i rapporti con la cupola. Un doppiogiochista, insomma, il cui atteggiamento era peraltro ben noto allo stesso colonnello Riccio. E’ verosimile che il boss si sarebbe ufficialmente “pentito”, se non fosse stato ucciso. Ma, soprattutto, non si capisce come la previsione di Travaglio possa in qualche produrre effetti lesivi, se si considera che comunque Ilardo già confidava al colonnello Riccio i rapporti tra mafia e “Forza Italia”.
Inoltre, l’articolo di Travaglio non può essere valutato secondo i principi del diritto di cronaca, ma del diritto di critica, riguardando notizie già oggetto di cronaca. Di conseguenza, il requisito della continenza formale va valutato con minor rigore, essendo fisiologica alla critica la valutazione personale dell’articolista.
La buccia di banana su cui Travaglio è scivolato è ben altra. Verso la fine dell’articolo, Travaglio parla di una riunione cui il colonnello Riccio fu chiamato presso lo studio dell’avvocato Taormina, presente Dell’Utri. L’avvocato gli chiese di non confermare davanti ai giudici di Palermo le accuse a Dell’Utri in cambio di un interessamento alla sua riammissione nell’Arma dei Carabinieri, essendo stato nel frattempo sospeso. Offerta che Riccio rifiutò decisamente denunciando tutto ai pm di Palermo. In merito a quella riunione Travaglio riporta uno dei tanti brani contenuti nei verbali della procura di Palermo, scrivendo che “in quella occasione, come in altre, presso lo studio dell’avv. Taormina era presente anche l’onorevole Previti”. Ma si ferma lì.
In realtà, da quanto trapelato il colonnello Riccio specificò subito dopo che “il Previti però era convenuto per altri motivi, legati alla comune attività politica, e non era presente al momento dei discorsi inerenti la posizione giudiziaria di Dell’Utri”. Se i verbali contengono realmente questa specificazione, bisogna concludere che l’omissione di Travaglio spiega effetti lesivi sulla persona di Previti. Il quale, anziché essere indicato come persona casualmente incrociata da Riccio nei corridoi dello studio di Taormina, in questo modo viene rappresentato come diretto partecipe del tentativo di modificare una realtà giudiziaria a favore di un personaggio sotto processo per mafia.
E anche se il parametro di valutazione della legittimità della critica è certamente meno rigido di quello che si esige nella cronaca, l’omissione di fatti rilevanti condiziona il giudizio di legittimità, soprattutto quando la critica si innesta su una ricostruzione storica, come quella fatta da Travaglio nel suo articolo. E qui, a ben vedere, il fatto omesso (Previti non ha partecipato alla riunione) non si sarebbe limitato a sminuire il fatto riportato (Previti era presente alla riunione), ma lo avrebbe logicamente neutralizzato. Un’omissione, quindi, che si sostanzia in una violazione del requisito della verità.
Un'ultima precisazione. E' probabile che Travaglio sia incorso nell'errore in buona fede. Nella frettolosa lettura degli atti, gli è sfuggita la seconda parte della dichiarazione, finendo così per collocare Previti non genericamente nello studio di Taormina, come intendeva Riccio, ma in quella losca riunione. A ben vedere, infatti, è difficile pensare che un giornalista come Travaglio, così maniacalmente ancorato alle fonti ufficiali, abbia volutamente omesso quella frase. Ma sicuramente non è questa la conclusione cui è giunto il tribunale di Roma. Per il giudice l’omissione di Travaglio è stata cosciente e volontaria, se nel suo comportamento ha rinvenuto il dolo della diffamazione.