Rifondazione e Farc:
quando l'articolista
eccede lo scopo informativo
Bologna, 15 settembre 208
(avv. Antonello Tomanelli)
1° marzo 2008. L’esercito colombiano uccide Raul Reyes, numero due delle Farc. Le autorità entrano in possesso del suo computer, da cui escono i nomi di alcuni europei che terrebbero rapporti con i guerriglieri. La notizia viene data dal quotidiano colombiano “El Tiempo”. Spiccano i nomi di due italiani: Ramon e Consolo.
A riprendere ampiamente la notizia se ne incarica Omero Ciai per “La Repubblica” in un articolo del 4 agosto intitolato “Ecco chi aiuta le Farc dall’Italia”, quindi un mese dopo la liberazione di Ingrid Betancourt. Ci vuol poco per capire che quei nomi si riferiscono a Ramon Mantovani e Marco Consolo, due dirigenti di Rifondazione comunista da tempo impegnati in maniera trasparente nel tentativo di porre fine ad un conflitto che insanguina la Colombia da decenni. Fin qui nessuno scandalo. I due non hanno mai negato di tenere rapporti politici con le Farc.
La situazione peggiora il 31 agosto. Mentre a Roma Ingrid Betancourt incontra il Papa, “La Repubblica” esce con un altro articolo, sempre a firma Omero Ciai, in cui i presunti rapporti tra Farc da un lato, Mantovani e Consolo dall’altro, vengono meglio delineati. Citando quale fonte un non meglio specificato “dossier governativo”, l’articolista parla di fondi raccolti da Rifondazione a beneficio delle Farc (1.400 Euro), di cure mediche pagate in svizzera ad un loro rappresentante, di fitto scambio di informazioni. Fatti potenzialmente lesivi dell’immagine dei due dirigenti di Rifondazione (e dello stesso partito), se si pensa che nel 2002 le Farc sono state dichiarate dalla Ue “organizzazione terroristica”.
Fatti che possono essere pubblicati solo se veri o se provenienti da “fonti ufficiali”, operando in quest’ultimo caso il concetto di “verità putativa” (nel senso che il giornalista crede in buona fede che la notizia sia vera). Scontato che il quotidiano “El Tiempo” non potrebbe mai essere considerato alla stregua di fonte ufficiale, l’articolista dovrebbe dimostrare l’esistenza di quel “dossier governativo” e del relativo contenuto.
Ma a rendere certamente illecito, in quanto diffamatorio, il secondo articolo di Omero Ciai è il titolo: “Così Rifondazione aiutò i rapitori della Betancourt”. Come giustamente fa notare il giornalista Gennaro Carotenuto sul suo sito, “leggi il pezzo e non c’è nulla di tutto questo”. Il titolo induce inequivocabilmente il lettore ad attribuire a Rifondazione un ruolo nel rapimento della Betancourt, mentre l’articolo (che ovviamente viene letto dopo, quando viene letto) parla in realtà di un modesto contributo in denaro versato all’organizzazione e di alcuni contatti epistolari. Un titolo la cui forza persuasiva è stata certamente moltiplicata dalla concomitante e ampiamente preannunciata visita di Ingrid Betancourt al Papa.
Siamo di fronte ad un caso di violazione del requisito della continenza formale, che è a presidio dell’obiettività dell’informazione. Il giornalista è il tramite tra la fonte e il lettore. Pertanto, deve evitare qualsiasi artificio che, eccedendo lo scopo informativo, condizioni la genuinità della notizia. A maggior ragione quando l’artificio riguarda il titolo, che è la prima cosa (a volte l’unica) ad essere letta.
Non si può fare a meno di notare quanto il comportamento di Omero Ciai sia stato subdolo. Dietro la formale correttezza del titolo, derivante dall’essere le Farc effettivamente i rapitori della Betancourt, si palesa l’intento di trasformare il comportamento di Rifondazione da generico contributo in denaro in favore di un’organizzazione che conta decine di migliaia di aderenti, a specifico apporto in un sequestro di persona.
Qui è impossibile non intravedere la mala fede dell’articolista. Chiunque capirebbe che, al limite, un titolo appropriato avrebbe potuto essere “Così Rifondazione aiutò le Farc”, se si considera che il non meglio specificato “dossier governativo” parla dei generici rapporti tra Rifondazione e Farc. Non certo di un ruolo che Rifondazione avrebbe avuto nel sequestro Betancourt, come invece suggerisce subdolamente il titolo.