Lega Nord al Governo:
aumenta il rischio
di discriminazioni etniche

19 aprile 2008

(avv. Antonello Tomanelli)

La Lega si prepara ad assumere alcuni dicasteri nel governo Berlusconi 3. Ci si chiede quale sarà il contegno nazionale del Carroccio nei riguardi delle minoranze etniche. Un interrogativo che si pone con urgenza, visto l’atteggiamento di molte amministrazioni locali del Nord.

E anche di alcuni organi di informazione. Primo fra tutti “Radio Padania Libera”, che funge da cassa di risonanza di quella parte del popolo leghista che vorrebbe risolvere il problema dei Rom con metodi in voga 70 anni fa. E’ recente la polemica con Gad Lerner, che si è sentito affibiare il nomignolo di “naso ciarlatano” dal conduttore Leo Siegel per aver invitato tutti a riflettere sull’opportunità che un organo di informazione riverberi insulti a sfondo razzista.

Se si guarda a quanto fatto con il contributo della Lega (e di An) dall’ultimo governo Berlusconi, non c’è da stare allegri. Non tanto per la famigerata “Bossi Fini” del 2002. Quanto per le “Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione” che quel governo ha in tutta fretta emanato a poche settimane dalla scadenza naturale della legislatura.

E’ il febbraio 2006. Il governo Berlusconi approva la legge 24 febbraio 2006 n. 85. C’è una drastica riduzione delle pene previste per i delitti contro la personalità dello Stato (per molti, dalla reclusione fino a quattro anni si passa ad una semplice multa) e l’abrogazione di alcuni di questi reati. Primo fra tutti, quello previsto dall’art. 241, comma 2°, c.p., che puniva con l’ergastolochiunque commette un fatto diretto a disciogliere l’unità dello Stato, o a distaccare dalla madre Patria un altro territorio soggetto, anche temporaneamente, alla sua sovranità”. E’ abrogato pure il reato di “lesa prerogativa della irresponsabilità del presidente della Repubblica” (art. 279 c.p.) che puniva chi pubblicamente imputava al capo dello Stato “il biasimo o la responsabilità degli atti di Governo”. Inoltre, tutti i reati contro la Costituzione dello Stato o gli organi costituzionali debbono ora essere compiuti “con atti violenti”.

Ma in quella legge vi è un’altra modifica: quella della L. 25 giugno 1993 n. 205 (cosiddetta “legge Mancino”). Quest’ultima, in esecuzione della Convenzione internazionale di New York del 7 marzo 1966 (sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale), all’art. 1, comma 1° lett. a), puniva “con la reclusione fino a tre anni chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico […]”.

Ebbene, la legge del 2006 riduce sensibilmente la pena per chi diffonde idee razziste: dalla reclusione fino a tre anni si passa alla reclusione fino a un anno e sei mesi o, in alternativa, alla multa fino a 6.000 Euro (in pratica, oggi il giudice potrebbe infliggere soltanto una pena pecuniaria). Ma la novità importante è un’altra. Il soggetto attivo del reato non è più, come si esprimeva la legge Mancino, chi quelle idee le “diffonde in qualsiasi modo”, ma soltanto chi le “propaganda”.

Non è una differenza da poco. Tecnicamente l’area della propaganda è ben più ristretta di quella della “diffusione”. La propaganda implica necessariamente uno spiegamento, seppur minimo, di mezzi finalizzato non soltanto ad esprimere un pensiero, ma soprattutto a persuadere una moltitudine di persone, provocare la loro adesione alle idee veicolate. Chi in un pubblico dibattito afferma che gli arabi o i rom, anche se regolarmente soggiornanti, debbono essere mandati via perché culturalmente inferiori diffonde un pensiero. Chi afferma ciò in un volantino che distribuisce al pubblico, in un comizio elettorale o nello spazio che gli spetta all’interno di una tribuna politica, fa propaganda.

Ne deriva che la legge del 2006 ha ricondotto sotto l’ombrello protettivo dell’art. 21 Cost. tutte quelle affermazioni razziste che non siano qualificabili come propaganda. Per fare l’esempio di “Radio Padania”, oggi le telefonate in diretta di chi, nel migliore dei casi, non ritiene un arabo o un rom degno di essere considerato un essere umano, costituiscono libera manifestazione del pensiero. Allo stesso modo dei commenti divertiti del conduttore che “filtra” le telefonate.

Siamo di fronte ad una legge palesemente incostituzionale. La libertà di pensiero garantita dall’art. 21 Cost. non è illimitata. In un’ottica di bilanciamento di valori costituzionalmente garantiti, la libertà di pensiero può essere esercitata in violazione dei “diritti inviolabili” di cui all’art. 2 Cost. solo in presenza di un interesse generale. E’ quello che accade nel diritto di cronaca, che sacrifica la reputazione e la privacy degli individui tutte le volte che soddisfi il diritto della collettività ad essere informata. E il diritto della collettività è soddisfatto quando siano rispettati i tradizionali requisiti (verità, interesse pubblico, continenza formale).

Ma, francamente, non si riesce a capire quale interesse generale possa soddisfare la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico. Inoltre, qui non è violato soltanto l’art. 2 Cost. (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”), che tutela la dignità dell’arabo o del rom in quanto “uomo”.

E’ violato anche il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., nel suo duplice ruolo di garanzia. Da un lato, la garanzia della “pari dignità sociale” e della uguaglianza di tutti gli individui di fronte alla legge “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (comma 1°). Dall’altro, la garanzia di stimolare il legislatore a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana […]” (comma 2°). Ed è evidente come la legge del 2006, tutelando la diffusione di idee razziste, collochi su un piano di inferiorità sostanziale ogni persona appartenente ad una minoranza etnica, impedendone così il pieno sviluppo.

Rimane la speranza che i tribunali compiano uno sforzo interpretativo, teso a ricondurre alla propaganda il maggior numero possibile di casi di diffusione del pensiero a sfondo razzista.