Caso Meredith:
Telenorba pubblica immagini
a contenuto raccapricciante
6 aprile 2008
(avv. Antonello Tomanelli)
Lunedì 31 marzo, in seconda serata, l’emittente pugliese “Telenorba” ha mandato in onda un video girato dalla polizia scientifica nella casa di Meredith Kercher, la studentessa inglese barbaramente uccisa a Perugia il 1° novembre 2007. Il video è stato girato subito dopo il ritrovamento del cadavere. Dura circa due minuti e mezzo. La telecamera si sofferma su particolari che, per evidenti motivi, non erano mai stati visti dai telespettatori. Primo fra tutti, la gola squarciata di Meredith.
Le reazioni sono univoche: quelle immagini sono troppo crude. L’Ordine dei Giornalisti di Puglia e il Garante della Privacy chiedono all’emittente l’acquisizione del video della puntata. L’emittente cerca di giustificarsi, peraltro goffamente, per bocca del direttore del Tg Norba, Enzo Magistà, il quale afferma di aver fatto “il proprio dovere rispetto a un evento di particolare importanza e rilevanza sociale”.
Qual è la norma di legge violata da "Telenorba"?
La norma base è l’art. 15 della L. n. 47/1948 (“legge sulla stampa”), che prevede l’applicazione della stessa pena stabilita dall’art. 528 del codice penale (“Pubblicazione e spettacoli osceni”: reclusione da tre mesi a tre anni) “nel caso di stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale o l’ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti”.
Per il sistema radiotelevisivo, tale norma è espressamente richiamata dall’art. 30, comma 2°, L. n. 223/1990 (legge Mammì), secondo cui “si applicano alle trasmissioni le disposizioni di cui agli articoli 14 e 15 della legge 8 febbraio 1948 n. 47”.
Storicamente la norma che punisce la pubblicazione di immagini raccapriccianti ha avuto una applicazione pressoché univoca. Ha riguardato qualsiasi immagine scioccante, a prescindere dalla esigenza informativa sottesa. Ma la norma pone una fondamentale questione, a causa del risultato contraddittorio cui porta la sua applicazione. Si censura un comportamento che può turbare chi apprende la notizia, ma che per il giornalista costituisce la forma più esemplare di adempimento del dovere di verità, caposaldo del diritto di cronaca e, tra i doveri del giornalista, quello più pregnante. Per questo motivo va privilegiata una soluzione che tenga conto della sensibilità del telespettatore medio, ma anche del diritto della collettività a ricevere un’informazione il più possibile fedele ai fatti.
E la soluzione non può che passare attraverso l’analisi del requisito dell’interesse pubblico. Ossia, va appurato quando sussiste l’interesse pubblico ad acquisire l’immagine raccapricciante.
L’interesse pubblico sussiste quando l’immagine raccapricciante ha di per sé un valore indiscutibilmente informativo, ossia quando è l’unica fonte della notizia. Si ricorderà il caso delle torture nel carcere irakeno di Abu Graib. I fatti furono resi noti attraverso la diffusione di fotografie scattate dagli stessi torturatori americani e poi finite in mani “sbagliate”. Ebbene, la collettività non avrebbe potuto acquisire quella notizia senza la diffusione delle relative immagini. In considerazione del contesto, nessuna “fonte” (tantomeno ufficiale) avrebbe potuto fornire elementi di fatto tali da consentire al giornalista la diffusione della notizia nel rispetto del requisito della verità. Nel caso di Abu Graib le immagini raccapriccianti hanno un incontestabile valore informativo, rappresentando il contenitore di una notizia non altrimenti divulgabile.
Si pensi ancora alle sconvolgenti immagini raccolte nel reportage trasmesso da Rainews 24 sulla Battaglia di Falluja del novembre 2004, che ha svelato l’impiego in Irak del “fosforo bianco”, il micidiale ordigno Usa che fonde e deforma orribilmente i corpi delle vittime lasciandone intatti i vestiti. Le fonti ufficiali statunitensi avevano sempre smentito le voci circa l’impiego di armi di distruzione di massa in Irak. Qui la prova dell’uso del fosforo bianco da parte dell’esercito Usa era rinvenibile soltanto in quell’eccezionale documento, la cui integrale diffusione ha quindi soddisfatto un interesse pubblico.
Stessa cosa può dirsi per le immagini raccapriccianti che documentano una feroce azione repressiva all’interno di uno Stato, le cui autorità si rifiutano di fornire informazioni ai giornalisti. Qui rinunciare alla pubblicazione significherebbe privare la collettività dell’informazione di ciò che accade in quello Stato. E, nel contempo, offrire alle autorità la possibilità di smentire efficacemente (ma soprattutto “ufficialmente”) ogni notizia scomoda. In questi casi, la pubblicazione delle immagini raccapriccianti costituisce l’unico strumento per neutralizzare l’efficacia di quanto proviene da una fonte ufficiale, che in simili casi ha tutto l’interesse a dare una versione dei fatti contraria a verità.
In definitiva, l’immagine raccapricciante può essere pubblicata quando la sua diffusione soddisfa una reale esigenza informativa, vale a dire quando l’immagine è il contenitore di una notizia non altrimenti divulgabile nel pieno rispetto del requisito della verità. Resta, invece, non pubblicabile quando la sua diffusione non è necessaria per far acquisire la notizia alla collettività.
E non c’è dubbio che il video mandato in onda la sera del 31 marzo da “Telenorba”, che mostra il cadavere insanguinato di Meredith Kercher con la gola squarciata, non ha soddisfatto alcuna esigenza informativa. Quei particolari raccapriccianti erano ben noti al pubblico da mesi. Il video non veicola alcuna novità. Non vi è cioè alcun interesse pubblico alla acquisizione di quelle immagini.
Tra l’altro, la pubblicazione di immagini raccapriccianti trova precisi limiti anche deontologici. La Carta dei Doveri vieta al giornalista di “pubblicare immagini o fotografie particolarmente raccapriccianti di soggetti coinvolti in fatti di cronaca, o comunque lesive della dignità della persona; né deve soffermarsi sui dettagli di violenza o di brutalità, a meno che non prevalgano preminenti motivi di interesse sociale”. Non sussiste alcun motivo di interesse sociale nel mostrare il cadavere insanguinato di Meredith Kercher con la gola squarciata. Soprattutto se si considera che sul delitto di Perugia si è raccontato (e si continua a raccontare) tutto quanto il possibile, anche con riferimento alle sue efferate modalità di esecuzione.