I gioielli di Prodi,
lo scoop del Giornale
e la continenza formale
25 marzo 2008
(avv. Antonello Tomanelli)
Un fucile in oro tempestato di diamanti; un vaso di onice con gazzelle d’argento; un orologio Bulgari; un presepe eco tech a tre piani; due parure di diamanti; un rosario di Tiffany; una cassa con palme ricoperta di scaglie d’oro. Sono alcuni dei preziosi regali che i coniugi Prodi hanno ricevuto in occasione delle numerose visite ufficiali effettuate durante la presidenza del Consiglio del professor Romano.
Nulla di strano, se non fosse che per 48 ore questi costosi regali sembrano spariti, nonostante un decreto del presidente del Consiglio dei Ministri del 20 dicembre 2007 li voglia registrati e custoditi in un apposito caveau di Palazzo Chigi quando il loro valore superi i 300 Euro. Salvo che il beneficiario non voglia legittimamente appropriarsene versando l’eccedenza nelle casse dello Stato.
A rilevare l’anomalia è un’inchiesta condotta da Gian Marco Chiocci e pubblicata su “Il Giornale” del 22 marzo. Intitolata “Prodi, dove sono finiti i gioielli?”, riporta le telefonate (debitamente registrate) tra l’articolista ed alti funzionari di Palazzo Chigi, presumibilmente incaricati di gestire questo patrimonio. Alla domanda come mai i tesori non siano nell’apposito caveau di Palazzo Chigi, le risposte dei funzionari sono a volte evasive, a volte contraddittorie. Vi è un rimpallo di competenze. Non si capisce chi sia il custode; e, soprattutto, dove siano finiti quei regali. Alla fine viene appurato che i doni di Stato sono custoditi non nell’apposito caveau di Palazzo Chigi, ma presso la sede dei Servizi Segreti del Dis (l’ex Cesis).
La pubblicazione dell’inchiesta ha scatenato la reazione del Segretario Generale della presidenza del Consiglio. Con una lettera inviata all’Avvocatura Generale dello Stato e per conoscenza alla stampa, l’organo di Palazzo Chigi denuncia “la ricostruzione alterata e fuorviante” della vicenda, idonea ad ingenerare “nel lettore la convinzione che non vi sia stata una corretta gestione da parte della presidenza del Consiglio dei Ministri dei doni di Stato”. Un “attacco giornalistico” portato “proprio nel momento in cui si esprime una pratica di corretta gestione della cosa pubblica”. Una ricostruzione che – continua il Segretario Generale – “eccede il legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica giornalistica, che deve essere connotato dai presupposti della veridicità, della continenza e della proporzionalità”. L’organo di Palazzo Chigi sollecita l’Avvocatura “a valutare la sussistenza degli elementi per la proposizione della domanda di risarcimento del danno in nome e per conto della presidenza del Consiglio dei Ministri”.
Che “Il Giornale” abbia strumentalizzato la vicenda, come il comunicato del Segretario Generale denuncia, è fin troppo ovvio. Del resto, “Il Giornale” non è nuovo a certe iniziative. Basti pensare al vergognoso caso Sircana. Tuttavia, va compiuta una analisi obiettiva circa la sussistenza dei tradizionali requisiti richiesti in materia di diritto di cronaca: verità, interesse pubblico, continenza formale.
L’interesse pubblico sussiste. Va senz’altro chiarita la destinazione dei doni di Stato (del valore di milioni di Euro) ricevuti dal capo del Governo in occasione delle visite ufficiali. E’ la stessa legge a consentirlo, impedendo al beneficiario di appropriarsene quando il valore superi i 300 Euro.
Per quanto riguarda il requisito della verità, “Il Giornale” giura che tutte le dichiarazioni fatte per telefono dai funzionari di Palazzo Chigi sono state debitamente (e opportunamente) registrate dall’articolista. Quindi, i fatti narrati sarebbero sostanzialmente veri. Qui non si può far altro che adeguarsi a quanto giurato. E’ chiaro, però, che se si trattasse di una “bufala”, o se fosse anche solo in parte falso quanto riportato da “Il Giornale”, ricorrerebbero senz’altro gli estremi della diffamazione aggravata.
Più complesso il discorso sulla continenza formale. Come è noto, la continenza formale attiene alle modalità di comunicazione della notizia. E’ a garanzia della sua obiettività. Il giornalista è il tramite tra la fonte e il lettore. Qualsiasi artificio adoperato dal giornalista che, eccedendo lo scopo informativo, condizioni la genuinità della notizia, vìola il requisito della continenza formale.
Tuttavia, nel caso specifico il requisito della continenza formale è sostanzialmente rispettato. E’ vero che l’articolo è attorniato da cinque foto che ritraggono Prodi sorridente mentre prende in consegna i regali da altrettanti capi di Stato esteri; e che la foto in prima pagina del numero di Pasqua, ritraendolo ricoperto di preziosi, richiama vagamente uno stile bokassiano. E’ vero che l’articolo, nel sottolineare la contraddittorietà di alcune affermazioni dei funzionari di Palazzo Chigi interpellati sul destino dei doni di Stato, appare qua e là irriverente, quasi satirico. Ma è anche vero che ciò rientra nell’insindacabile stile dell’articolista, che peraltro qui non sconfina mai nella critica, contrariamente a quanto sostenuto nel comunicato del Segretario Generale. Sconfinamento che sarebbe illegittimo, non potendo un articolo di cronaca essere accompagnato dai toni propri della critica. Anzi, la violazione più eclatante del requisito della continenza formale si ha proprio quando la critica viene espressa in un contesto di cronaca, ossia informativo.
E’ quindi una questione di stile dell’articolista. Stile, come già detto, irriverente e un po’ satirico. Ma giustificato dal fatto, piuttosto paradossale, che quei doni di Stato non sono custoditi nel caveau appositamente allestito a Palazzo Chigi, ma in una stanza blindata della sede di un Servizio Segreto.
Ed è proprio su quest’ultima circostanza che l’articolo pone l’accento. In effetti, pare anomalo che il caveau di Palazzo Chigi sia vuoto e che quei regali risultino essere ospitati in una stanza del Dis. E’ questa anomalia a rendere misteriosa e, nel contempo, buffa l’intera vicenda, insieme alle risposte evasive e contraddittorie fornite dai funzionari interpellati. Certo, il tono dell’articolo risulta un po’ canzonatorio. Ma che il lettore possa supporre che la famiglia Prodi abbia tentato di appropriarsi di quei doni di Stato è un’eventualità mai suggerita dall’articolista.
Al limite, l’unica che potrebbe apparire fondata tra le censure mosse all’inchiesta dal Segretario generale è quella relativa alla mancanza di “proporzionalità”, anche se non è chiaro quale valore giuridico tale requisito possa assumere nell’ambito del diritto di cronaca. Probabilmente il Segretario Generale vuole riferirsi al fatto che la semplice anomalia rappresentata dall’essere i doni di Stato situati in una stanza dei Servizi Segreti anziché nell’apposito caveau di Palazzo Chigi, non costituisce una notizia tale da meritare le prime tre pagine di un quotidiano dalla tiratura di 300.000 copie.
In effetti, su questo è difficile dargli torto, se la notizia – come opportunamente specificato dallo stesso quotidiano – si limita a denunciare quella anomalia. Tuttavia, la circostanza non pone la pubblicazione al di fuori del diritto di cronaca. Ogni quotidiano è libero di scegliere la propria linea editoriale, arrivando persino a privilegiare la cronaca scandalistica all’informazione, come a volte sembra fare “Il Giornale”. E, in generale, a stabilire, volta per volta, quali sono le notizie da prima pagina. E’ una questione che non riguarda il Diritto, ma solo il rapporto tra “Il Giornale” e i suoi lettori.