Su 'Libero' l'organigramma
della lottizzazione Rai:
violata la privacy

9 febbraio 2008

(avv. Antonello Tomanelli)

Da un cassetto della scrivania di Vittorio Feltri spunta una “mappa” che descrive la distribuzione degli incarichi all’interno della Rai. Alle pagine 12 e 13 del quotidiano “Libero” del 7 febbraio 2008 viene riprodotto graficamente l’assetto organizzativo delle molteplici strutture della concessionaria pubblica. All’interno di ognuna di esse sono indicati i nomi e i cognomi di più di 900 tra direttori, vicedirettori, dirigenti e caporedattori, con le relative funzioni e l’appartenenza politica, quest’ultima evidenziata con il colore rosso (centrosinistra) e blu (centrodestra). Netta la prevalenza del rosso. Residua una ridottissima “area tecnica” di colore verde, che conta qualche decina di unità, riferita ai privi di sponsor politici, quindi in Rai esclusivamente per meriti. Il tutto è introdotto a pag. 11 da un articolo a firma Oscar Giannino intitolato “I colori della Rai”.

Non è chiara quale sia la fonte da cui “Libero” ha tratto l’organigramma. Nell’articolo di Giannino si parla testualmente di “documenti di lavoro ufficiosi – per non dire ufficiali – dei vertici dell’azienda pubblica radiotelevisiva”. “Libero” non ha alcun obbligo di rivelare la “fonte”, ben potendo appellarsi al segreto professionale. Ma in un eventuale giudizio è proprio la rivelazione della fonte che eviterebbe al direttore e all’articolista una condanna per diffamazione aggravata, visto che entrambi avranno l’onere di provare la verità dei fatti. Dovranno quindi esibire quei “documenti”, insieme agli elementi che possano ricondurli ad una manifestazione di volontà della Rai stessa. Non c’è dubbio, infatti, che una simile rappresentazione della Rai, che fa servizio pubblico e che dovrebbe assumere esclusivamente in base alle capacità, ne lede gravemente la reputazione. Di conseguenza, secondo i principi generali del diritto di cronaca, quanto rappresentato deve rispondere a verità.

Qui l’interesse pubblico è scontato. Che la Rai sia lottizzata è ormai fatto notorio. Ma è certamente una notizia la scoperta di un documento cartaceo, ufficiale e scritto di pugno dagli stessi vertici di Viale Mazzini, dal quale si desume chiaramente che ogni struttura della Rai è il frutto di una sorta di chiamata nominativa “esterna”, effettuata dai partiti con l’acquiescenza dei massimi livelli della concessionaria pubblica e nemmeno limitata ai suoi livelli apicali.

Ma se è certo l’interesse pubblico alla conoscenza di una capillare lottizzazione della Rai, non altrettanto può dirsi per i singoli nomi che appaiono nell’organigramma riprodotto da “Libero”. Se rientra nel diritto di cronaca la diffusione dei nomi di coloro ai quali, per notorietà acquisita o per l’alta funzione espletata, va riconosciuta una obiettiva dimensione pubblica, la diffusione delle generalità di quella moltitudine di funzionari sconosciuti, nessuno dei quali presenta il benché minimo collegamento con la collettività, si risolve in una grave violazione della privacy.

Il codice di deontologia riserva al giornalista un trattamento privilegiato nella raccolta di dati personali, addirittura dispensandolo dall’obbligo di rendere la cosiddetta “informativa” quando ciò “renda altrimenti impossibile l’esercizio dell’attività informativa” (art. 2). Ma per la diffusione di dati personali l’art. 137, comma 3°, D.Lgs. n. 196/2003 fa salvi “i limiti del diritto di cronaca […] in particolare quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico”. Non c’è dubbio che qui il fatto di interesse pubblico è dato dalla dimostrazione del grado di penetrazione dei partiti all’interno della concessionaria pubblica Rai.

Sotto questo aspetto, sapere che i nomi (si badi bene: riportati integralmente) di C.M., G.D. e L.A. dell’area “acquisti e servizi” sono stati scelti dal centrosinistra, mentre quelli di A.B. e G.S. dell’area “Televideo” sono stati indicati dal centrodestra non può certo considerarsi fatto di interesse pubblico. Il fatto di interesse pubblico è l’indicazione fornita dalle forze politiche, non le generalità dell’indicato. E’ la circostanza che l’organico Rai è stato (stando sempre all’organigramma pubblicato da “Libero”) per il 70% scelto dal centrosinistra, mentre il restante 30% dal centrodestra, ad essere di interesse pubblico. Circostanza che sarebbe stata ugualmente messa in risalto quantificando con esattezza, per ciascuna divisione o struttura Rai, le unità riferibili ai due schieramenti. Conoscere le generalità dei singoli anonimi “lottizzati” non è di alcuna utilità sociale. Per costoro, il diritto alla protezione dei dati personali non può essere sacrificato, in assenza di un obiettivo interesse pubblico.

Va poi aggiunto che la combinazione delle generalità con l’appartenenza ad un’area politica ha dato luogo alla diffusione di dati sensibili, che secondo l’art. 4, comma 1 lett. d), D.Lgs. n. 196/2003 sono anche quei “dati personali idonei a rivelare [… le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere politico […]”. Circostanza, questa, che senza dubbio conferisce alla violazione in cui è incorso “Libero” una particolare gravità, se si pensa alla più incisiva tutela che il Codice della Privacy appronta per i dati sensibili rispetto a quelli cosiddetti “comuni”.

Considerando il diritto al risarcimento che l’art. 15 D.Lgs. n. 196/2003 riconosce a chi ha subito un danno per effetto di un illecito trattamento di dati personali, c’è da aspettarsi quella sorta di “class action di categoria” che il direttore generale Cappon ha invitato a promuovere, mettendo a disposizione gratuitamente l’ufficio legale Rai.