'Porta a Porta': quando
la comunicazione politica
stravolge il fatto

26 gennaio 2008

(avv. Antonello Tomanelli)

Lunedi 21 gennaio Bruno Vespa ha invitato a “Porta a Porta” Clemente Mastella, fresco di dimissioni da ministro della Giustizia. La puntata si è svolta con modalità che hanno ben poco a che vedere con il concetto di informazione. Vediamo perché.

Quando il leader dell’Udeur entra nel salotto di Vespa, ha da due giorni abbandonato la carica di ministro della Giustizia e annunciato che toglierà la fiducia al governo Prodi. Una scelta dichiaratamente motivata dall’essere indagato dalla procura di Santa Maria Capua Vetere per associazione per delinquere finalizzata alla concussione, alla corruzione, all’abuso d’ufficio e al falso nell’ambito di un’inchiesta che ha portato all’arresto della moglie e di decine di esponenti Udeur. Secondo l’accusa, in gran parte basata su intercettazioni telefoniche, Mastella e i suoi avrebbero pesantemente inciso sulla nomina dei vertici di diversi enti pubblici campani.

L’inchiesta è l’oggetto principale della trasmissione. Mastella è l’unico politico presente. Siede di fronte a Folli (Il Sole 24 Ore), Sansonetti (Liberazione), Orfeo (Il Mattino), Mazzuca (Quotidiano Nazionale). E’ questo il contenitore della puntata, che evidentemente rispecchia la tipologia delle cosiddette “conferenze stampa”, disciplinate dall’art. 5 del Provvedimento 18 dicembre 2002 della Commissione di Vigilanza che le definisce “trasmissioni […] che si svolgono mediante domande su argomenti di attualità politica rivolte al leader […] di un soggetto politico […] da quattro giornalisti”. Siamo cioè di fronte ad una tipologia di programma televisivo che, insieme alle “tavole rotonde” e ai “dibattiti a due”, l’art. 3 del medesimo Provvedimento espressamente riconduce alla comunicazione politica.

Sorge spontanea la domanda: per una puntata che verte sulle indagini avviate nei riguardi di Mastella (che è il leader dell’Udeur) e della moglie, è questo il giusto contenitore?

E’ il peggiore, se si pensa alla finalità dei programmi di comunicazione politica. La comunicazione politica, generata dal politico (che – si badi bene non ha l’obbligo di raccontare la verità), mira a porre in relazione una forza politica con gli elettori, per orientarli nel voto. Con essa si comunica una valutazione, di parte, che come tale divergerà da quella del politico appartenente ad area diversa. Diametralmente opposta alla comunicazione politica è invece l’informazione, che è generata dal giornalista (che – si badi bene ha l’obbligo di raccontare la verità) è che ha lo scopo di relazionare la collettività al fatto. Di qui l’esigenza della sua obiettività (sulla problematica si veda anche, in generale, la par condicio).

Ebbene, a “Porta a Porta” del 21 gennaio scorso si è assistito alla rappresentazione di un fatto (i reati contestati dalla procura di Santa Maria Capua Vetere) da parte di un politico (che “valuta” per antonomasia) per giunta indagato, insieme alla moglie, in quello stesso procedimento penale! Sarebbe quantomeno paradossale sostenere che in quella puntata vi sia stata “informazione”. Proprio perché, da un lato, si è adottato un contenitore (programma di comunicazione politica) che per sua natura esprime un concetto antitetico a quello di obiettività, quindi inidoneo a rappresentare un fatto. Dall’altro, si è affidata l’illustrazione della vicenda ad un soggetto che tecnicamente è parte in causa.

E Mastella non si è lasciato sfuggire l’occasione. Ha rimproverato il Governo per non aver espresso solidarietà nei suoi riguardi: quella stessa solidarietà che generalmente viene espressa dagli anarco insurrezionalisti ai compagni arrestati. Nel nome della “discrezionalità politica”, ha rivendicato il potere di nomina dei vertici degli enti pubblici sulla base del “mandato elettorale”. E ha sferrato un violento attacco alla magistratura, denunciandone la vocazione liberticida, evocando scenari golpisti e avventurandosi in improbabili disquisizioni giuridiche.

“Porta a Porta”, che sul sito internet della Rai si fregia del titolo “L’informazione di Rai Uno in seconda serata”, non poteva apportare all’informazione contributo peggiore. Mastella era l’ultima persona da far parlare in una circostanza del genere. Paradossalmente, per poter ristabilire un accettabile equilibrio, Bruno Vespa avrebbe dovuto invitare insieme a Mastella, non un magistrato qualsiasi, ma i magistrati inquirenti in persona. Cosa tuttavia impossibile, per ovvie ragioni. Quel “Porta a Porta” è inaccettabile come lo sarebbe la messa in onda di una trasmissione avente come protagonisti quei magistrati che conducono personalmente l’inchiesta su Mastella e consorte. Non a caso la Commissione di Vigilanza, con Provvedimento 11 marzo 2003, ha stabilito che “nei programmi della concessionaria del servizio pubblico aventi per oggetto procedimenti giudiziari in corso, l’esercizio del diritto di cronaca, come l’obbligatorio confronto tra le diverse tesi, dovrà essere garantito da soggetti diversi dalle parti che sono coinvolte e si confrontano nel processo”. Ciò considerando “i vincoli ai quali la legge obbliga i magistrati, sia requirenti che giudicanti, nel rapporto con i mezzi di informazione”.

Né potrebbe giustificarsi quel programma con un diritto di replica che spetterebbe a Mastella. Il diritto di replica è garantito dalla Carta dei Doveri, laddove dice che “il giornalista non deve dare notizia di accuse che possano danneggiare la reputazione e la dignità di una persona senza garantire opportunità di replica all’interessato”. Fin dalle prime diffusioni della notizia relativa all’inchiesta su Mastella e la consorte, questi hanno più volte avuto l’opportunità di ribadire la propria innocenza con dichiarazioni e interviste rese a tutti gli organi di informazione.

Inoltre, il diritto di replica implica sempre una sorta di “proporzione mediatica” tra attacco e difesa. E, sotto questo aspetto, quella specifica puntata di “Porta a Porta” avrebbe dovuto “replicare” ad una eventuale analoga trasmissione con alto share, incentrata però sulla presunta colpevolezza di Mastella e consorte. Non va dimenticato, poi, che la regola che garantisce il diritto di replica è stata pensata, principalmente, per consentire di controbattere rapidamente ad accuse che suscitano interesse pubblico, ma che colpiscono soggetti generalmente assenti dal panorama dell’informazione. In altre parole, soggetti dalla ridotta capacità mediatica. Situazione impensabile per il politico leader di un partito, fino a poche ore prima ministro della Giustizia.

Per quanto riguarda il comportamento riferibile a Bruno Vespa, non gli si può attribuire la violazione del dovere di verità, poiché quanto affermato da Mastella potrebbe astrattamente essere vero. Ma non c’è dubbio che vi sia stata la violazione (deontologica) del dovere di lealtà e di buona fede. Violazione che, a ben vedere, è insita nella stessa pretesa, qui avanzata dal giornalista conduttore, di rappresentare un fatto attraverso una comunicazione politica sostanzialmente univoca e autogestita. Una comunicazione politica per giunta proveniente dallo stesso soggetto al quale il nostro ordinamento consente di mentire persino davanti all'Autorità giudiziaria, non avendo l’imputato/indagato, a differenza di quanto accade nei paesi anglosassoni, l’obbligo di dire la verità.