Magistratura e Armata Rossa:
Berlusconi invochi
il diritto di satira
17 dicembre 2007
(avv. Antonello Tomanelli)
Altro procedimento penale contro Silvio Berlusconi, altro durissimo attacco ai magistrati. Berlusconi è accusato di aver corrotto Agostino Saccà (presidente di Raifiction e già direttore generale della Rai sotto il suo governo) e di aver istigato alcuni senatori del centrosinistra a passare dalla propria parte per far cadere il governo Prodi dietro promessa di incarichi ministeriali in un futuro governo e di lucrosi contratti.
La notizia è anticipata dal quotidiano “La Repubblica”. Questa volta sono le intercettazioni ad inchiodare l’ex premier, che si infuria per la violazione del segreto istruttorio. Anche se, per la verità, chi dovrebbe infuriarsi è soltanto la Procura di Napoli che conduce l’inchiesta.
La critica alla magistratura è da sempre elemento caratterizzante il personaggio Berlusconi, che ne ha sempre collocato le azioni in un contesto di totale asservimento “alla sinistra”. Stavolta però la critica viene espressa in toni più aspri. Accusa i pm di avere intimidito e torchiato per otto ore, alla vigilia del voto al Senato sulla Finanziaria, alcuni senatori da lui precedentemente contattati per raggiungere un accordo sul voto. Accuse gravi, quindi.
E paragona la magistratura all’Armata Rossa, il leggendario esercito sovietico che, in puntuale esecuzione degli ordini del Pcus, invadeva i paesi socialisti in odore di insubordinazione. Il tutto nonostante la Costituzione della Repubblica italiana dica che la magistratura costituisce “un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” (art. 104), i giudici sono “soggetti soltanto alla legge” (art. 101) e il pubblico ministero ha “l’obbligo di esercitare l’azione penale” (art. 112).
In altre parole, questa volta Berlusconi rischia un’incriminazione per il reato di cui all’art. 290 del codice penale. La norma punisce “chiunque pubblicamente vilipende la Repubblica, le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo o la Corte Costituzionale o l’ordine giudiziario”, nonché “le Forze Armate dello Stato o quelle della Liberazione”.
E’ quella norma che negli anni ’70 ebbe diverse applicazioni contro chi pubblicamente accusava l’Arma dei Carabinieri (che fa parte delle “Forze Armate”) e la stessa magistratura di essere “al servizio dei padroni” nonché “strumento delle classi dominanti per reprimere le lotte popolari”.
Appare difficile, questa volta, ricondurre la manifestazione di pensiero di Berlusconi al diritto di critica di cui all’art. 21 Cost. Una critica generica può essere molto aspra. Anche se, per la verità, l’area di legittimità della critica tende a restringersi, quando è rivolta ai magistrati (sulla problematica si veda la critica ai magistrati). Ma quando la critica è accompagnata da precisi elementi di fatto, deve sottostare al tradizionale requisito della verità.
E sono precisi gli elementi di fatto citati da Berlusconi per avvalorare la sua tesi: senatori intimiditi e torchiati per otto ore dai pubblici ministeri alla vigilia del voto sulla legge finanziaria. Circostanze smentite non solo dai pm, ma addirittura dagli stessi interessati. Di conseguenza, diventa estremamente problematico considerare la manifestazione di pensiero di Berlusconi garantita dall’art. 21 Cost. Se non altro, dovrà dimostrare che quei fatti sono veri. E ciò, allo stato attuale, sembra alquanto improbabile.
L’unico modo per ricondurre il comportamento di Berlusconi nei binari della legalità sarebbe quello di invocare il diritto di satira. Che essendo espressione di un’arte (art. 33 Cost.), non incontra i limiti della libertà di pensiero di cui all’art. 21 Cost. E vede storicamente proprio il Potere come bersaglio privilegiato. Se non si può ricorrere alle falsità per formulare una critica legittima, è proprio sul paradosso, sulla esagerazione che si basa la satira. Purché vi sia un nesso di coerenza causale tra la qualità della dimensione pubblica del soggetto preso di mira (la magistratura che lo indaga) e il contenuto del messaggio satirico (“la magistratura è l’Armata Rossa”). Quel nesso che in sostanza dà un significato alla satira.
E qui il nesso di coerenza causale è certamente tra i più intensi, perché le affermazioni di Berlusconi costruiscono su se stesso e sulla Giustizia una parodìa, che è una delle opere più ricorrenti nella satira. Berlusconi, nel raffigurare la magistratura come l’Armata Rossa e, nel contempo, se stesso come vittima, stravolge nel più efficace dei modi i valori primari su cui si basa l’attività giurisdizionale di uno Stato democratico, ossia il principio dello stato di diritto e l’autonomia della magistratura. Per rappresentare un Paese dove i magistrati perseguitano un innocente per motivi politici e su preciso ordine del Potere esecutivo.
In quest’ottica, quelle affermazioni false diventano non solo legittime, ma anche necessarie per dare efficacia al messaggio satirico, per servirlo. Il pm che, alla vigilia del voto parlamentare sulla finanziaria, torchia per otto ore un senatore della maggioranza già contattato da Berlusconi, evoca l’immagine dell’ufficiale sovietico che interroga l’oppositore per dissuaderlo da attività non consentite dall’ordinamento.
Inoltre, la riconducibilità delle affermazioni di Berlusconi al diritto di satira sarebbe agevolata dalle stesse modalità con cui l’ex premier ha inizialmente veicolato il messaggio. Non più attraverso le emittenti nazionali di cui dispone, ma nella pubblica piazza, armato di megafono e attorniato dai suoi sostenitori. Una scelta che si sposa perfettamente con il contenuto del messaggio satirico, costruito sull’essere Berlusconi l’oppositore democratico di quel regime comunista che non esita a mandare l’Armata Rossa al primo lieve moto di piazza. Salvo poi farsi riprendere in quei frangenti dalle stesse emittenti nazionali.