Nelle intercettazioni
il vero volto
di Azouz Marzouk

7 dicembre 2007

(avv. Antonello Tomanelli)

Nessuna indignazione per la pubblicazione dei verbali delle intercettazioni disposte dal tribunale di Milano nei riguardi di Azouz Marzouk. Eppure, non si può negare che quei verbali racchiudano fatti e circostanze che in teoria rientrerebbero nella sua sfera personale. In realtà, la vicenda rappresenta un classico esempio di come una conversazione strettamente privata possa diventare di interesse pubblico, tanto da essere legittimamente divulgata dagli organi di informazione.

Per capire bene il meccanismo bisogna analizzare il “personaggio Azouz”. Azouz diventa noto con la strage di Erba, quando la sua famiglia viene sterminata a colpi di coltello e di crick. Per qualche giorno Azouz è il principale sospettato. Ma per sua fortuna può provare che si trovava in Tunisia al momento della strage. Tuttavia, i suoi precedenti penali e i suoi legami con ambienti dello spaccio di droga inducono ad ipotizzare una vendetta, eseguita da malavitosi che non avrebbero esitato a sgozzare un bimbo di 2 anni pur di farla pagare ad Azouz. L’ipotesi tiene banco per un mese, finché i vicini di casa Rosa Bazzi e Olindo Romano non confessano di essere gli autori della strage, effettuata – pare per futili motivi condominiali.

Azouz diventa la vittima del destino crudele e del pregiudizio razzista. E’ conteso da giornali e tv, ma anche da personaggi come Fabrizio Corona. Incomincia a frequentare il jet set. Da più parti criticato, è comunque visto come un povero cristo che ha sofferto terribilmente e vuole rifarsi una vita. E’ presente alle udienze del processo, dove grida il suo dolore e invoca la pena di morte per gli assassini della sua famiglia.

Fino a lunedì 3 dicembre 2007. Gli organi di informazione pubblicano brani di intercettazioni telefoniche e ambientali. Azouz parla di affari di droga, ma dice anche altro. Mostra spazientito indifferenza per la scelta del colore delle bare che dovranno accogliere i resti dei suoi cari. Maledice la strage di Erba per gli effetti nefasti che ha prodotto sui suoi affari. Considera le belle macchine come unica ragione di vita, disprezzando gli arabi che non girano in Porsche o Bmw. Il tutto a pochi giorni dalla sepoltura dei suoi cari. Più in là nel tempo, parla di un non meglio specificato “sesso sporco” fatto con vip in cambio di denaro quando veniva conteso dai programmi tv, periodo da lui stesso con nostalgia definito “un’altra vita”.

Ora, è evidente che tali conversazioni “private” hanno fornito del personaggio Azouz una rappresentazione che si pone in stridente contrasto con quella che era andata delineandosi nei mesi successivi alla strage di Erba. Viene fuori che Azouz non è quella persona distrutta dal dolore, ma un cinico spacciatore toccato dalla tragedia solo nei suoi interessi economici. Non è la vittima di un pregiudizio razzista, ma è egli stesso razzista nei confronti dei conterranei che non sfoggiano auto di lusso. Non si sforza di dimenticare quel periodo drammatico della sua vita, ma vorrebbe riviverla per usufruire degli agi che gli garantivano quelle frequenti apparizioni in tv.

La pubblicazione di quelle intercettazioni è legittima, perché ha ristabilito in termini di verità il rapporto tra la collettività e Azouz, che è indubbiamente un personaggio pubblico a prescindere dal modo in cui lo è diventato. Qui risulta rispettato il principio di essenzialità di cui all’art. 6 del codice di deontologia, poiché è evidente che quelle intercettazioni incidono sul nesso che lega Azouz al pubblico. Né possono porsi problemi di continenza formale ogni volta che brani di intercettazioni vengano riprodotti fedelmente.

Tuttavia, va rimarcato un aspetto. Qui nessuno ha espresso indignazione per l’accaduto. Nessuno ha denunciato la violazione della privacy, tantomeno l’uso spregiudicato delle intercettazioni. Nessuno ha sottolineato l’assoluta irrilevanza penale delle conversazioni in cui Azouz non parla di droga, quando è evidente che non costituisce reato fregarsene del colore della bara dei propri cari, disprezzare chi gira con macchine di poco valore, fare sesso “sporco” in cambio di denaro, rimpiangere le comparsate in tv occasionate dall’aver perso moglie e figlio nel peggiore dei modi.

Al contrario, aspre critiche vengono generalmente mosse ogni volta che a finire sui mezzi di informazione sono le intercettazioni dei politici, quasi sempre membri del Parlamento. Spesso e volentieri si adduce proprio l’irrilevanza penale delle dichiarazioni intercettate, sul presupposto che il penalmente irrilevante è privo di interesse pubblico.

Ma non è così. Può certamente essere di interesse pubblico la conversazione del parlamentare sorpreso, ad esempio, a parlare di (illegali) scalate bancarie con un indagato la cui utenza è sotto controllo. Se non costituisce reato “fare il tifo” per qualcuno che cerca di acquisire illegalmente rilevanti partecipazioni in un grosso gruppo bancario, un simile comportamento fa però sorgere il legittimo sospetto che il parlamentare eserciti le sue funzioni per tutelare interessi particolari. E non nel perseguimento dell’interesse generale, come da lui sistematicamente promesso. Se – come dice l’art. 1 Cost. “la sovranità appartiene al popolo”, a chi attraverso il voto elettorale ha delegato il parlamentare alla cura della cosa pubblica va garantita la possibilità di controllarne l’operato, possibilità offerta proprio dalla pubblicazione delle intercettazioni.

E non c’è dubbio che in molti casi le intercettazioni svelino comportamenti dei politici che mal si conciliano con quel dovere di imparzialità che dovrebbe guidarli nella cura degli interessi economici. Chi guarda con favore a una scalata bancaria effettuata in violazione della legge non può essere credibile come difensore dell’interesse generale. E la divulgazione di un simile comportamento inciderebbe sul rapporto tra il politico e la collettività, ristabilendolo in termini di verità.

Tra l’altro, qui va fatta una precisazione. Spesso chi critica la pubblicazione di intercettazioni dei parlamentari le ritiene illegittime perché fatte in violazione delle loro prerogative. Non è così. E' noto il caso del giudice Clementina Forleo, che depositò i brani delle intercettazioni eseguite nei riguardi di chi era indagato per le scalate bancarie, brani che contenevano anche conversazioni fatte con membri del Parlamento non indagati. Erroneamente si è detto che quei brani non potevano essere divulgati senza l’autorizzazione del Parlamento. In realtà, la legge richiede l’autorizzazione del Parlamento per l’utilizzazione delle intercettazioni, dove per “utilizzazione” si intende necessariamente l’uso a fini processuali. Ossia: è necessario il consenso del Parlamento perché quei brani possano valere come prova in un giudizio, non certo perché possano essere divulgati dagli organi di informazione una volta messi a disposizione dei difensori delle parti (sulla questione si veda le intercettazioni dei parlamentari).

E’ ciò che cercava disperatamente di far capire la stessa Forleo, poi incredibilmente sottoposta a procedimento disciplinare dal Csm.

E se quelle intercettazioni contengono conversazioni dalle quali si può agevolmente dedurre che il parlamentare, pur non commettendo reati, si muove non nell’interesse generale, ma nell’interesse di chi vuole acquisire potere economico, vanno rese note, poiché la loro divulgazione incide sul rapporto del parlamentare con quella collettività che con il voto gli ha delegato l’esercizio della sovranità. Incide ristabilendo quel rapporto in termini di verità. Proprio come è successo con Azouz.