Beppe Grillo a Strasburgo:
legittima la critica
al ministro Mastella
19 novembre 2007
(avv. Antonello Tomanelli)
Beppe Grillo ha scelto il Parlamento Europeo per denunciare l’interferenza in Italia della politica sull’azione penale dei magistrati. Lo ha fatto in una conferenza stampa alla quale ha partecipato anche Luigi De Magistris, il magistrato della procura di Catanzaro che si è visto avocare l’inchiesta “Why not”, quella sulle gravi irregolarità nella gestione di fondi provenienti proprio dalla UE e che vede come principali indagati il ministro della Giustizia Clemente Mastella e il presidente del Consiglio Romano Prodi.
Nel corso della conferenza stampa Beppe Grillo ha esortato la UE a non destinare fondi all’Italia perché “è come darli a Bokassa”. Poi, riferendosi al provvedimento di avocazione con cui il pm De Magistris è stato privato dell’inchiesta “Why not”, ha affermato: “La magistratura è stata fermata dalla politica. Una volta, nel 1992, con Falcone e Borsellino si usava il tritolo. Oggi interviene direttamente il ministro della Giustizia”.
L’affermazione è stata ritenuta diffamatoria dal ministro Mastella, che ha preannunciato un’azione legale. In realtà, la frase rientra pienamente nel diritto di critica, come i successivi passaggi dimostreranno.
Va prima effettuata una sommaria ricostruzione dei fatti che hanno occasionato la critica di Beppe Grillo. Dal giorno del suo insediamento il ministro Mastella ha più volte inviato gli ispettori ministeriali alla Procura di Catanzaro alla ricerca di presunte violazioni che sarebbero state commesse da De Magistris. Nel settembre 2007 il ministro avvia con procedura d’urgenza presso il Csm l’azione disciplinare per il trasferimento del magistrato, che sta indagando sulla irregolarità nella gestione di fondi UE destinate alla regione Calabria: è l’inchiesta “Why not”, che vedrebbe coinvolti lo stesso Mastella, Romano Prodi e diversi esponenti politici e istituzionali. Il Csm non ravvisa l’urgenza e rinvia il tutto alla fine di dicembre. Ma il 14 ottobre Mastella viene iscritto nel registro degli indagati dallo stesso De Magistris con l’ipotesi di truffa, abuso d’ufficio e violazione della legge sul finanziamento dei partiti. Il 19 ottobre arriva il provvedimento di avocazione delle indagini, firmato da Dolcino Favi, un avvocato generale dello Stato “facente funzioni” di procuratore generale (carica temporaneamente vacante) nonostante tre giorni prima il Csm abbia deliberato la nomina definitiva di Enzo Iannelli (che si insedierà effettivamente dopo qualche settimana). In pratica, il provvisorio Favi procede all’avocazione quando già conosce il nome del titolare effettivo dell’ufficio.
In effetti, il provvedimento di avocazione desta forti perplessità. Non soltanto perché immediatamente successivo al rifiuto del Csm di trattare con urgenza la richiesta di trasferimento avanzata dal ministro Mastella contro De Magistris, il pubblico ministero che sta indagando su di lui. Ma anche per la motivazione addotta nello stesso provvedimento di avocazione, ossia l’incompatibilità di De Magistris. In realtà, secondo le norme stabilite dal codice di procedura penale (artt. 372 e 36), l’incompatibilità di un pubblico ministero che giustifica l’avocazione delle indagini può derivare soltanto da suoi rapporti di parentela o di debito/credito con una parte del procedimento o con il suo difensore. Un’ipotesi, questa, inapplicabile alla fattispecie De Magistris.
A meno che l'incompatibilità di cui parla il provvedimento di avocazione non si riferisca in realtà a quella "inimicizia grave" per la quale lo stesso art. 36 obbliga il giudice ad astenersi quando risulti "tra lui o un suo prossimo congiunto e una delle parti private", e che legittima il provvedimento di avocazione anche quando riguardi un pubblico ministero. Tuttavia, una simile conclusione sarebbe paradossale, soprattutto perché in questo caso l'eventuale "inimicizia grave" riguarderebbe solo il ministro Mastella, in quanto indagato da De Magistris. E sarebbe quantomeno bizzarro interpretare la norma in modo da riscontrare una "inimicizia grave" ogni volta che qualcuno viene indagato da una qualsiasi Procura della Repubblica.
Né fa testo il provvedimento con cui il procuratore generale della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto personalmente da De Magistris contro l’avocazione. In effetti, secondo le norme sull’ordinamento giudiziario, tale ricorso avrebbe potuto essere presentato solo dal procuratore della Repubblica di Catanzaro, ossia dal capo dell’ufficio ricoperto da De Magistris. Il provvedimento, quindi, non entra nel merito dell’avocazione.
E’ in questo contesto che matura la critica di Beppe Grillo. Dopo aver ampiamente spiegato all’assemblea di Strasburgo, insieme allo stesso De Magistris, come i fondi europei elargiti all’Italia vengano spesso distratti attraverso l’azione di influenti personaggi politici, Grillo critica il comportamento di quelle istituzioni (prima fra tutte: il ministro della Giustizia) che, di fatto, hanno neutralizzato un magistrato che si proponeva di contrastare un tale sistema.
Non è necessario scomodare il diritto di critica per sostenere la legittimità della prima parte dell’affermazione di Beppe Grillo, quella secondo cui “la magistratura è stata fermata dalla politica”. Non soltanto perché è a dir poco scontata. Ma anche perché è così generica da rendere impossibile l’individuazione di un soggetto “leso” da quella affermazione. E’ come dire pubblicamente che la classe dirigente è corrotta. In altre parole, qui si è ancora nel campo della mera libertà di opinione, garantita persino nelle democrazie meno evolute, essendo ben altro ciò che l’art. 21 Cost. vuole garantire.
Il diritto di critica va scomodato per giustificare la seconda parte dell’affermazione di Beppe Grillo: quella che traccia una linea di continuità tra l’azione del ministro della Giustizia nel caso De Magistris e il tritolo utilizzato dalla mafia nel 1992 per fermare Falcone e Borsellino. Che è poi presumibilmente la frase che non è stata digerita dal ministro Mastella.
Scontata la sussistenza dell’interesse pubblico a causa dell’importanza delle questioni trattate, qui non si pone alcun problema di verità, requisito su cui deve comunque basarsi la critica. Il tritolo usato contro Falcone e Borsellino nel 1992, così come l’intervento del ministro Mastella nel caso De Magistris, sono due fatti incontrovertibili. Semmai alcuni dubbi potrebbero a prima vista presentarsi con riferimento al requisito della continenza formale.
Ma il diritto di critica è cosa ben diversa dal diritto di cronaca. La cronaca, essendo informazione, è obiettiva, quindi deve necessariamente esprimersi in termini misurati; e il requisito della continenza formale va inteso in senso rigido. Nella critica non si può imporre la continenza formale che si esige nella cronaca, altrimenti bisognerebbe concludere che l’art. 21 Cost. garantisce solo il diritto di esprimere una misurata opinione. In realtà, la critica è dura contrapposizione, è mettere a nudo l’inadeguatezza, l’inaffidabilità, la falsità, gli errori altrui. E’ voler scuotere, suscitare un dibattito, provocare una reazione. La critica è fondamentalmente un attacco.
Attraverso la tutela del diritto di critica, l’ordinamento garantisce quell’aspetto della libertà di pensiero che più di ogni altro è funzionale alla dialettica democratica. Ne deriva che sotto l’aspetto della continenza formale la critica è sempre legittima quando è accompagnata dall’argomentazione. Diventa illegittima quando la collettività non può da essa trarre alcun beneficio, vale a dire quando sconfina nell’insulto, nella mera aggressione verbale.
Nel caso in questione la critica di Beppe Grillo si è basata su un’argomentazione, magari per alcuni non condivisibile, ma solida. E’ vero che il nostro ordinamento non prevede il potere del ministro della Giustizia di bloccare un’indagine condotta dal magistrato di una Procura della Repubblica. Ma è tutt’altro che azzardato sostenere che di fatto il provvedimento di avocazione sia stato in gran parte determinato dalle continue pressioni esercitate dal ministro Mastella su De Magistris, anche attraverso la richiesta di intervento immediato del Csm.
E nemmeno si può dire che il requisito della continenza formale sia stato qui violato attraverso l’accostamento letterale della figura del ministro della Giustizia ai gravi fatti del 1992, come se Mastella fosse un mafioso. In realtà, la critica di Bebbe Grillo va letta come logica richiede, ossia nell’ottica di un constatato progressivo peggioramento delle condizioni in cui la magistratura si trova spesso ad operare. Nel senso che se in quegli anni la mafia ha usato il tritolo per fermare Falcone e Borsellino, il caso De Magistris dimostra come oggi un magistrato titolare di indagini delicate non possa contare nemmeno sull’appoggio del ministro della Giustizia, che al contrario dovrebbe prodigarsi per garantire all’azione penale la massima efficacia.