L'addio a Enzo Biagi
tra commemorazioni
e illeciti deontologici
12 novembre 2007
(avv. Antonello Tomanelli)
Il cordoglio per la morte di Enzo Biagi è stato unanime. Tutti i telegiornali hanno confezionato commoventi servizi per salutare l’uomo che per l’occasione è stato definito “l’ultimo cronista”. Tuttavia, nella gran parte di essi si sono registrate gravi inesattezze e omissioni.
La morte di Enzo Biagi avviene alle ore 8 del 6 novembre 2007. La notizia si diffonde in tutto il mondo. Il Tg2 vi dedica tre minuti scarsi; e qualche ora più tardi, nell’edizione delle 20,30, lo stesso Tg già ritiene che nella scaletta quella morte sia meno importante dei fischi ricevuti il giorno prima dal leader della Cgil Epifani ad un convegno sul lavoro all’università “Roma tre”. Per il Tg4, Biagi entra in Rai nel 1961 e da allora “lavora senza mai fermarsi un giorno”. Stessa cosa il Tg5. Per il Tg1, nel 2002 Biagi “dopo una lunga controversia con il presidente del Consiglio Berlusconi, abbandona la Rai”.
Gli unici telegiornali che forniscono una rappresentazione sostanzialmente corretta della vita professionale di Biagi e della sua fine sono il Tg3 e il Tg di La7. Ci si riferisce, in particolare, alla sua cacciata dalla Rai avvenuta pochi mesi dopo le esternazioni fatte da Silvio Berlusconi durante una conferenza stampa a Sofia il 18 aprile 2002, quando l’allora premier, riferendosi a Biagi, Santoro e Luttazzi, parlò di “uso criminoso” della televisione pubblica e di “preciso dovere della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga”. La dichiarazione è passata alla storia come l’editto bulgaro, soprattutto per la nota solerzia con cui venne presa alla lettera dai nuovi vertici Rai, che si incaricarono di far sparire i suddetti dai palinsesti televisivi. L’evento rappresenta forse il più clamoroso caso di censura dal dopoguerra, se si considera che quella esternazione proveniva da un organo pubblico ed era diretta a sopprimere la quotidiana e libera manifestazione di pensiero che Biagi garantiva con Il Fatto, premiato come la migliore trasmissione di approfondimento informativo nella storia della Rai.
Dunque, per la maggioranza dei Tg il clamoroso “editto bulgaro” non è mai esistito. E il Tg1, parlando di “abbandono” della Rai da parte di Biagi, sostanzialmente imputa la fine del rapporto ad una scelta del giornalista. Una scelta maturata – sempre secondo il Tg1 “dopo una lunga controversia con il presidente del Consiglio Berlusconi”. In realtà, è noto che il 26.09.2002 l’allora direttore generale della Rai Agostino Saccà inviò a Biagi lettera raccomandata a.r. con la quale dava formale disdetta del contratto, che di lì a tre giorni si sarebbe tacitamente rinnovato di un altro anno. E la lettera maturò dopo che ai danni di Biagi fu per mesi e mesi perpetrato un cinico mobbing, eufemisticamente definito “controversia” dal Tg1 (sulla vicenda si veda La censura a Enzo Biagi).
Quanto rappresentato da molti Tg pone questioni deontologiche. Non c’è dubbio che ripercorrere la vita del giornalista senza menzionare il famigerato editto bulgaro, che tanto incise sulla vita umana e professionale di Biagi, oltre che sulla stessa libertà di informazione, significa ricostruirla falsamente. Qui ad essere violato è il dovere di verità, che è il caposaldo del diritto di cronaca e, tra i doveri del giornalista, quello più pregnante.
Il dovere di verità è richiamato da varie norme. Già l’art. 2, comma 1°, L. 3 febbraio 1963 n. 69 (“ordinamento della professione di giornalista”) qualifica come “obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti”. Per i principi contenuti nella Carta dei Doveri, siglata tra Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e Federazione Nazionale Stampa Italiana nel 1993, il giornalista “diffonde ogni notizia o informazione che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile”, e “non deve omettere fatti o dettagli essenziali alla completa ricostruzione dell'avvenimento”. E’ agevole capire come tale prescrizione sia stata clamorosamente violata da tutti quei Tg che non hanno menzionato l’editto bulgaro.
Ma non è soltanto il dovere di verità ad essere stato nell’occasione violato da molti Tg. La stessa Carta dei Doveri precisa che il giornalista non può mai subordinarsi “ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell'editore, del governo o di altri organismi dello Stato”. La norma vuole garantire l’autonomia del giornalista. E non può ritenersi rispettata da chi, nel ripercorrere la vita di Enzo Biagi, omette di citare le pressioni da lui subìte dall’allora capo del Governo Silvio Berlusconi e già leader di una forza politica cospicuamente rappresentata in Parlamento, pressioni che presero pubblica forma proprio attraverso l’editto bulgaro.
Tra l’altro, sempre guardando la Carta dei Doveri, una tale macroscopica omissione finisce inevitabilmente per incrinare “il rapporto di fiducia tra gli organi d'informazione e i cittadini”, rapporto che “è la base del lavoro di ogni giornalista”. Carta dei Doveri sottoscritta, come si legge nel preambolo, proprio “per promuovere e rendere più saldo tale rapporto”.
E nemmeno potrebbero assurgere a giustificazione le eventuali pressioni che i giornalisti dei Tg potrebbero aver subito dai vertici Rai per omettere ogni riferimento all’editto bulgaro. Anche qui la Carta dei Doveri è chiara: “Il giornalista accetta indicazioni e direttive soltanto dalle gerarchie redazionali della sua testata, purché le disposizioni non siano contrarie alla legge professionale, al Contratto nazionale di lavoro e alla Carta dei doveri”. Ciò significa che un giornalista può, anzi, deve ribellarsi se le gerarchie redazionali gli impongono di diffondere notizie in violazione della Carta dei Doveri. Quindi, anche a carico di coloro che hanno realizzato quei servizi in osservanza di eventuali direttive censorie è configurabile un illecito deontologico, anche se per ovvi motivi la posizione del censurato andrebbe valutata con minor rigore rispetto a quella del censore.
Dunque, molti giornalisti dei Tg, nel commemorare Enzo Biagi, hanno commesso illeciti deontologici. I responsabili andrebbero sottoposti a procedimento disciplinare, con conseguente applicazione di sanzioni da parte dei competenti Consigli dell’Ordine. Ma è utile verificare gli strumenti che l’ordinamento appresta in favore di coloro che avrebbero interesse a che la verità emerga. Tra questi, primi fra tutti gli stretti congiunti di Enzo Biagi; e lo strumento a disposizione è la rettifica.
Secondo l’art. 32 D.Lgs. 31 luglio 2005 n. 177 (“Testo Unico della Radiotelevisione”), “Chiunque si ritenga leso nei suoi interessi morali o materiali da trasmissioni contrarie a verità ha diritto di chiedere all'emittente, al fornitore di contenuti privato o alla concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo ovvero alle persone da loro delegate al controllo della trasmissione che sia trasmessa apposita rettifica”, da effettuarsi “entro quarantotto ore dalla data di ricezione della relativa richiesta, in fascia oraria e con il rilievo corrispondenti a quelli della trasmissione che ha dato origine alla lesione degli interessi”. Una rettifica, dunque, finalizzata ad informare correttamente sulle reali cause che causarono l'allontanamento di Enzo Biagi dalla Rai.
Generalmente l’applicazione di questa norma è invocata dalla stessa persona alla quale la notizia inesatta si riferisce. Tuttavia, non vi sono motivi per escludere che, in caso di morte del diretto interessato, di essa possa servirsi anche uno stretto congiunto, quando è evidente l’interesse alla rettifica. Tanto più che la norma parla anche di interessi “morali” lesi da “trasmissioni contrarie a verità”. Del resto, gli stessi codici civile e penale prevedono in generale che gli stretti congiunti possano agire a tutela dell’onore, dell’immagine, del nome del defunto.
Inoltre, qui nessuno potrebbe dubitare della sussistenza di un interesse morale dei familiari di Enzo Biagi. Si consideri, infatti, il loro stato d’animo in conseguenza di quanto patito dal giornalista per essere stato cacciato dalla Rai dopo 41 anni di servizio. E vedere poi che al pubblico viene taciuta la realtà, o addirittura raccontato che la scomparsa del proprio congiunto dalla televisione pubblica è dipesa unicamente da una sua "discutibile" ma "insindacabile" scelta.