Calderoli:
la Kienge è un orango.
Il Senato: è critica insindacabile

Bologna, 6 febbraio 2015

(avv. Antonello Tomanelli)

Arriva una notizia che ha dell’incredibile. Quella che qualsiasi persona di buon senso considera una becera offesa, per un gruppo di senatori è mera estrinsecazione della libertà di pensiero di un parlamentare. La Giunta per le Elezioni e le Immunità del Senato ha deciso per la non sindacabilità delle opinioni espresse dal senatore leghista (all’epoca vicepresidente del Senato) Roberto Calderoli, il quale nel corso di un concitato comizio tenuto il 13 luglio 2013 a Treviglio, affermava al cospetto di 1500 persone: “[…] ogni tanto oggi, smanettando con internet, apro il Governo italiano e […] vedo venire fuori la Kienge, io resto secco, io sono anche un amante degli animali per l’amor del cielo, ho avuto le tigri, gli orsi, le scimmie e tutto il resto, poi i lupi anche c’ho avuto, però quando vedo uscire delle… non dico che… delle sembianze di orango, io resto ancora sconvolto, non c’è niente da fare […].

Ne seguiva l’apertura di un procedimento penale presso la procura della Repubblica di Bergamo per il reato di diffamazione, aggravato dalla finalità della discriminazione razziale, come previsto dall’art. 3 L. 25 giungo 1993 n. 205 (nota come “Legge Mancino”).

In sostanza, la Giunta ha ritenuto di applicare alla fattispecie l’art. 68, comma 1°, Cost. secondo cui “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. E’ il principio della insindacabilità delle opinioni espresse dai parlamentari, che nell’espletamento del proprio mandato godono di una sostanziale licenza di diffamare, se le dichiarazioni che costituiscono reato vengono espresse “nell’esercizio delle loro funzioni”.

Di più. Da quando esiste la Costituzione si è sempre sostenuto che l’insindacabilità va riferita non ad un contesto meramente spaziale, bensì funzionale. Il parlamentare gode di tale insindacabilità non solo quando parla dal proprio seggio, ma anche quando fa dichiarazioni al di fuori delle aule parlamentari, ma comunque riconducibili a quella stessa funzione.

Il concetto è stato chiarito dalla Corte Costituzionale: sebbene l’insindacabilità possa riguardare anche dichiarazioni rese al di fuori del Parlamento, è necessario che esse siano strettamente collegate ad una trascorsa attività parlamentare (già esercitata attraverso, ad esempio, mozioni, interpellanze, interrogazioni, discussioni, etc.), in modo che si possa riscontrare "una identità sostanziale di contenuto fra l’opinione espressa in sede parlamentare e quella manifestata nella sede esterna". Insomma, un vero e proprio nesso che trasformi la dichiarazione diffamatoria nella reiterazione di una funzione già concretamente esercitata in Parlamento. E’ questa la condizione necessaria perché le opinioni del parlamentare possano ritenersi insindacabili anche quando espresse lontano dai banchi del Parlamento. In mancanza di ciò, scatta la diffamazione.

Ora, Calderoli ha offeso l’ex ministro Kienge dandole dell’orango in occasione di un comizio tenuto a Treviglio. Ma per quanto ci si possa sforzare, è davvero arduo ricondurre quelle beceri dichiarazioni a funzioni concretamente già esercitate in sede parlamentare. Non tanto perché non risulta che Calderoli si sia mai permesso di dare dell’orango al ministro Kienge durante una seduta parlamentare (sarebbe stato certamente espulso dall’aula), ma soprattutto perché sarebbe impossibile ricondurre al concetto di “funzione parlamentare” l’accostamento dell’ex ministro Kienge ad un orango.

Non si riesce a capire, dunque, sulla base di quali considerazioni la Giunta abbia potuto ritenere quelle dichiarazioni insindacabili ex art. 68 Cost.