Paniz e Scilipoti diffamati:
un giudice chiude
il sito del Vajont
Bologna, 17 febbraio 2012
(avv. Antonello Tomanelli)
Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Belluno ha chiuso www.vajont.info, il sito dedicato alla catastrofe del 1963, per i contenuti che il gestore avrebbe inserito recentemente e che il giudice ha ritenuto lesivi della reputazione degli onorevoli Domenico Scilipoti e Maurizio Paniz. La frase incriminata: “E se la mafia è una montagna di merda… i Paniz e gli Scilipoti sono guide alpine!”.
Non si conosce il testo integrale del commento nel quale è confluita la frase incriminata. Di conseguenza, è impossibile esprimere un giudizio sulla configurabilità o meno del reato di diffamazione, ossia sull’esistenza o meno di un diritto di critica o di satira. Anche se, obiettivamente, il fatto che né Paniz né Scilipoti siano mai stati oggetto di indagini per fatti di mafia rende, sotto questo aspetto, piuttosto delicata la posizione di chi ha pubblicato quella frase. Tuttavia, qui l’attenzione va posta sullo strumento che il gip di Belluno ha utilizzato per rendere inaccessibile il sito: il sequestro preventivo.
Il sequestro preventivo è uno strumento generale che l’art. 321 del codice di procedura penale mette a disposizione del gip. Viene disposto, di regola nel corso delle indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero “quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati”. Per intenderci, è lo strumento col quale si sequestra l’auto di chi è sorpreso a trasportare droga, o i complessi macchinari utilizzati per stampare banconote false, o l’appartamento del magnaccia che ci fa lavorare le prostitute sfruttate.
Un rimedio di ordine generale, dunque. Ma la domanda che sorge spontanea è: il sequestro preventivo può essere utilizzato per chiudere siti informatici che fanno informazione?
No, se si guarda ad una ancora recente sentenza della Corte di Cassazione, la quale, proprio con riferimento ai siti informatici, ha fornito una nozione di stampa piuttosto estesa, escludendo da essa soltanto gli interventi effettuati nell’ambito dei cosiddetti forum. Di conseguenza, tutto ciò che viene scritto in un sito informatico, direttamente o indirettamente riconducibile ad una manifestazione di pensiero del gestore del sito, rientra nel concetto di stampa.
Ne deriva che i contenuti di un sito di informazione godono della tutela costituzionale prevista per la libertà di stampa. L’art. 21 della Costituzione, oltre a sancire che “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure” (comma 2°), stabilisce che “Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi” (comma 3°).
Attualmente, gli unici casi in cui la legge autorizza “espressamente” (come dice l’art. 21 Cost.) l’Autorità giudiziaria al sequestro preventivo della stampa riguardano soltanto le pubblicazioni oscene o offensive della “pubblica decenza” (art. 2 Regio Decreto Legislativo n. 561/1946) e le pubblicazioni che costituiscono apologia del fascismo (art. 8 legge n. 645/1952). Nessun potere di sequestro, dunque, nei casi di presunta diffamazione.
Stando così le cose, se avrebbe potuto essere senz’altro lecito l’oscuramento della pagina contenente le affermazioni diffamatorie nei riguardi di Paniz e Scilipoti (in quanto “cosa pertinente al reato”: art. 321 del codice di procedura penale), il sequestro dell’intero sito si pone in palese contrasto con l’art. 21, comma 3°, Cost., in quanto sequestro di “stampa”, secondo la nozione fornita dalla Corte di Cassazione.