Sapone anti immigrati:
la Lega compie atti
di discriminazione razziale

Bologna, 20 marzo 2010

(avv. Antonello Tomanelli)

E’ sempre divertente guardare la faccia del cretino quando dice o fa una stupidaggine. E’ divertente soprattutto notare come il cretino non se ne renda conto. Ed è proprio questa la peculiarità del cretino.

Oggi, in alcuni comuni della provincia di Arezzo, molti hanno avuto il privilegio di gustare questa sensazione. Militanti della Lega Nord hanno distribuito bustine recanti la seguente scritta: “sapone anti immigrati per lavarsi dopo aver toccato gli extracomunitari”. Un’iniziativa che ha subito provocato lo sdegno dell’on. Leoluca Orlando dell’Italia dei Valori, il quale però, molto diplomaticamente, non ha parlato di cretini ma di istigazione all’odio razziale.

E Leoluca Orlando ha ragione. Si riferisce, in particolare, all’art. 3, comma 1° lettera a), della legge n. 654 del 1975, che punisce “chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

Come può notarsi, la norma contiene diverse fattispecie. Nel nostro caso, anche i cretini, in teoria, potrebbero in qualche modo “propagandare” idee. Ma qui è evidente come alla base dell’iniziativa non vi sia alcuna “idea”. E’ un singolo gesto di disprezzo nei riguardi degli extracomunitari. I fautori dell’iniziativa partono dal presupposto che gli extracomunitari non si lavano. L’extracomunitario è qui equiparato ad un animale contagioso, tanto da fornire un istantaneo aiuto a chi per sventura dovesse toccarlo. Rappresentando lo straniero come un soggetto nemmeno riconducibile all’essere umano, quindi inferiore, non c’è dubbio che l’iniziativa rientra nel concetto di atto di discriminazione.

Qualcuno potrebbe obiettare il carattere prettamente simbolico dell’iniziativa, non essendo possibile prenderla sul serio, per ricondurla al diritto di satira. Come se fosse solo uno scherzo di cattivo gusto. Come è noto, la caratteristica principale della satira è proprio lo storpiamento del dato reale. Nessuno potrebbe seriamente sostenere che dopo aver toccato un extracomunitario è vivamente consigliabile lavarsi le mani col sapone, come si fa, ad esempio, con un cane randagio. Sarebbe solo un efficace (ma satirico) modo di sottolineare l’esigenza, nella mente degli ideatori dell’iniziativa, di mantenere le distanze da soggetti la cui cultura e il cui stile di vita sono troppo lontani da quelli dell’italiano medio.

Ammesso (e non concesso) che un simile messaggio satirico possa essere, nel nostro ordinamento, ritenuto legittimo, qui è lo stesso presupposto ad essere messo in discussione: la possibilità che una simile iniziativa possa essere ricondotta al genere “satira”. A ben vedere, infatti, l'iniziativa attua il rovesciamento della struttura tipica della satira, quantomeno di quella che, costituzionalmente tutelata (art. 33 Cost.), tende a prevalere sui diritti di chi è colpito dal messaggio satirico.

La satira, infatti, nasce e si caratterizza come arte che sbeffeggia il potente, che esalta i difetti dell’uomo pubblico ponendolo sullo stesso piano dell’uomo medio. Come insegna Dario Fo, la funzione della satira è mettere “il re in mutande”. Colpendo dal basso verso l’alto, la satira è un formidabile veicolo di democrazia, perché diventa applicazione del principio di uguaglianza: il suddito mette in mutande il re avvicinandolo a sé. Ossia, tutto il contrario di ciò che è accaduto oggi in provincia di Arezzo. Qui l’iniziativa è a scapito del soggetto che occupa l’ultimo gradino della scala sociale, e attuata da chi manifesta una posizione di superiorità.

In astratto, la satira può colpire chiunque, anche il più disperato. Ma chi concepisce e diffonde un simile messaggio satirico, dovrà fare i conti con le norme dell’ordinamento, che prevarranno sempre su quelle manifestazioni intellettive immeritevoli di tutela. Se infatti può riconoscersi una funzione sociale allo sbeffeggiamento del potente di turno, dell’uomo pubblico per eccellenza, che in tal modo viene smitizzato in omaggio al principio di uguaglianza, non altrettanto può dirsi quando la satira colpisce l’inerme, colui che più di ogni altro necessita di protezione. La satira può avere come obiettivo anche un animale. E l’animale, salvo rare eccezioni, non è un essere umano. Ma non può garantirsi alcuna tutela a quella satira che assimila l’essere umano ad un animale.