Nell'editoriale di Minzolini
una grave violazione
del dovere di verità

Bologna, 19 febbraio 2010

(avv. Antonello Tomanelli)

Al tg1 delle 20 di ieri, milioni di telespettatori hanno assistito ad un editoriale del direttore Augusto Minzolini che sarebbe generoso definire imbarazzante. Nelle sue intenzioni vorrebbe essere una lezione di giornalismo a tutti i colleghi che hanno pubblicato quelle intercettazioni che demoliscono l’immagine di Guido Bertolaso, mostrandolo in ottimi, fraterni rapporti con imprenditori preoccupati solo di saccheggiare soldi pubblici.

Non è tanto l’ennesima netta presa di posizione di Minzolini a favore del Governo, strenuo difensore di Bertolaso, a dover stupire. Non è certo la prima volta che con i suoi editoriali il direttore del tg1, che è un giornalista, vìola il dovere deontologico di autonomia. Stavolta va oltre.

Stigmatizzando la pubblicazione delle intercettazioni, quindi l’informazione, Minzolini attacca quella “condanna mediatica” che getta fango su una persona prima che venga emessa regolare sentenza. Nel comunicare il concetto, si avventura in una disquisizione giuridica sul valore probatorio delle intercettazioni. E la dice davvero grossa. Testualmente: “Le intercettazioni sono strumenti di indagine, ma non sono prove. I primi a saperlo sono i magistrati”. A ciò verrebbe spontaneo replicare: i primi a saperlo sono i magistrati, ma l’ultimo è proprio Minzolini, che le intercettazioni sono prove. Vediamo perché.

Nel nostro ordinamento gli atti compiuti, nel corso delle indagini preliminari, dal pm e dalla polizia giudiziaria vengono raccolti nel “fascicolo del pm”. Questo fascicolo servirà al gip, il quale, sulla base di esso, non solo applicherà le misure cautelari richieste dal pm, ma eventualmente potrà anche decidere il rinvio a giudizio dell’imputato, mandandolo davanti al giudice del dibattimento, che è quello che lo condannerà o lo assolverà.

Il giudice del dibattimento deciderà esclusivamente sulla base delle risultanze del proprio fascicolo, che viene riempito man mano che le prove vengono espletate davanti a sé (testimonianze, perizie, etc.). Il giudice del dibattimento non conosce il contenuto del fascicolo del pm.

Quest’ultima regola subisce alcune eccezioni per i cosiddetti atti non ripetibili, compiuti durante le indagini preliminari: tra questi vi sono proprio le intercettazioni. I relativi verbali non vengono conosciuti soltanto dal gip (per applicare le misure cautelari e per decidere il rinvio a giudizio) e da pm e imputato (per esigenze di accusa e di difesa), ma confluiscono nel fascicolo del dibattimento. Così impone l'art. 268, comma 7°, del codice di procedura penale. Ciò significa che il giudice del dibattimento alla fine deciderà non soltanto sulla base delle prove espletate davanti a sé, ma anche sulla base del contenuto delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari. In altre parole, le intercettazioni costituiscono prova a tutti gli effetti. Anche perché, logicamente, nella maggior parte dei casi altro non sono che delle confessioni.

Il direttore Minzolini, invece, ha comunicato ieri al pubblico del tg1 che le intercettazioni non sono prove.

Ora, francamente, non è credibile che un giornalista che si è occupato e si occupa ancora di cronaca giudiziaria, direttore del più importante tg nazionale, non sappia una cosa del genere. Ben consapevole di comunicare a milioni di telespettatori una macroscopica bugia, il direttore del tg1, uno dei massimi responsabili dell'informazione Rai, ha violato in modo eclatante il dovere di verità, che tra i doveri deontologici del giornalista è senza dubbio quello più pregnante. Considerando, poi, che l’editoriale era un attacco a quei giornalisti che pubblicano le intercettazioni (violazione del dovere di colleganza) e che il tutto era finalizzato a difendere un soggetto istituzionale chiara espressione dell’attuale presidente del Consiglio (violazione del dovere di autonomia), bisogna concludere che con quell’editoriale Minzolini ha “gravemente compromesso la dignità professionale fino a rendere incompatibile con la dignità stessa la sua permanenza nell’Albo”. E’ la condotta tipizzata dall’art. 55 della L. n. 69 del 1963 e presupposto della radiazione.

Non va, poi, sottovalutato l'effetto persuasivo che la bugia di Minzolini ha certamente prodotto in molti telespettatori. I quali senz'altro trarrebbero conclusioni ben diverse sull'utilità della pubblicazione delle intercettazioni se sapessero la verità, ossia che le intercettazioni costituiscono prova piena, sulle quali il giudice ben può fondare una condanna. Il voler, con tale bugia, sminuire la gravità di quanto emerge da un'intercettazione, ingannando chi nutre una naturale fiducia nel servizio pubblico e al solo fine di proteggere interessi particolari, costituisce un comportamento che ricorda la figura del truffatore.

Tra l’altro, non può sfuggire una nota di colore. Il direttore Minzolini definisce “paradosso” il rischio che “il condannato mediatico possa essere assolto in tribunale o addirittura non essere rinviato a giudizio”. Cosa che per Minzolini potrebbe capitare a Bertolaso. Per il direttore del tg1 basta poco: “una massaggiatrice professionista scambiata per una escort”. In realtà, qui il paradosso è rappresentato proprio dal ragionamento di Minzolini. Da un lato stigmatizza la pubblicazione di intercettazioni, in quanto possono portare alla condanna mediatica di chi poi viene riconosciuto innocente, nonostante le intercettazioni, per loro natura, riproducano fatti accaduti, quindi veri. Ma dall’altro, dà per scontato che la massaggiatrice sia stata scambiata per una escort, quando un simile fraintendimento viene per ora sostenuto solo dagli indagati, Bertolaso compreso. Come fa ad essere certo che quella era solo una massaggiatrice, tanto da arrivare a dirlo a milioni di italiani, è un mistero.