Una strada a Craxi:
l’omaggio del sindaco
a chi è morto delinquente

Bologna, 2 gennaio 2010

(avv. Antonello Tomanelli)

Si era rifugiato in Tunisia nella sua villa ad Hammamet nel maggio 1994 per sfuggire alla giustizia italiana, che dì li a qualche anno lo condannerà per una miriade di reati, primo fra tutti la corruzione. Di queste condanne, due saranno definitive: quelle per il processo Eni Sai (cinque anni e sei mesi) e per le tangenti per la metropolitana milanese (quattro anni e sei mesi). Le condanne per gli altri reati si estingueranno per morte del reo, avvenuta, come è noto, ad Hammamet il 19 gennaio 2000.

Bettino Craxi è l’uomo politico più controverso degli ultimi decenni. Grande statista per alcuni, un corrotto per molti. Braccato dalla giustizia italiana e dagli italiani stessi. Tutti ricordano gli insulti e le monetine che il 30 aprile 1993 la folla gli lanciò all’uscita dell’Hotel Raphael, la sua dimora romana.

Ora, nell’imminenza del decennale della sua morte, fa notizia la decisione, annunciata dal sindaco Letizia Moratti, di dedicargli una strada di Milano. Per la verità, non si tratterebbe di una novità, visto che in alcune città minori il nome dell’ex leader del Psi già titola strade e piazze. Ad Aulla addirittura gli è stata dedicata una statua, alla quale però nessuna compagnia ha voluto garantire la copertura assicurativa contro gli atti vandalici. Ma Milano è la città di Mani Pulite, l’inchiesta che svelò il vero volto di Craxi, insieme ai suoi conti segreti esteri per svariate decine di miliardi di vecchie lire.

Esiste una vecchia legge che regola l’intitolazione di strade, piazze e monumenti. E’ la legge 23 giugno 1927 n. 1188. Dopo aver stabilito alcune semplici regole per l’intitolazione (il decesso della persona da almeno dieci anni e l’autorizzazione del prefetto e di una regia commissione provinciale), impose ad ogni amministrazione locale di procedere entro 6 mesi “alla modificazione delle denominazioni stradali ed alla rimozione dei monumenti, lapidi o altro ricordi permanenti che contravvengano al divieto di cui agli articoli 2 e 3” (ossia il mancato decorso dei dieci anni dalla morte e il mancato parere di prefetto e regie commissioni).

L’intento che mosse i suoi redattori è evidente: rimuovere il ricordo di chi non era gradito al neonato regime fascista. Non a caso la legge prevedeva all’art. 4 particolari eccezioni per “le persone della famiglia reale” e per “i caduti in guerra o per la causa nazionale”. Una legge distruttiva, quindi, che si preoccupava più che altro di cancellare il passato, senza voler minimamente guidare le amministrazioni locali nella scelta dei criteri da adottare per consegnare degne personalità alla memoria delle future generazioni.

E’ quindi un vuoto normativo quello che ha consentito ad alcune amministrazioni, da ultimo quella di Milano, di dedicare strade al pregiudicato Bettino Craxi. Una scelta che, invece, andrebbe effettuata tenendo conto, da un lato, delle condanne inflitte all’ex leader; dall’altro, di quelle norme dell’ordinamento che regolano fattispecie simili, e che ben possono supplire alla carenza normativa attualmente esistente in materia di intitolazione di strade, piazze e monumenti. Il tutto sull’ovvio presupposto che una strada o una piazza debbano essere intitolate a soggetti che possano fungere da modello per le generazioni future.

Quindi, bisogna partire da alcuni dati obiettivi. Craxi è stato condannato, in via definitiva dalla Corte di Cassazione (16 novembre 1996), alla pena di cinque anni e sei mesi di reclusione. La sentenza ha anche confermato l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, pena accessoria che i giudici erano obbligati a comminare, poiché l’art. 29 del codice penale stabilisce che “La condanna all’ergastolo e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni importano l’interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici”. Craxi non solo non avrebbe più potuto candidarsi alle elezioni, ma non sarebbe più potuto nemmeno andare a votare, privando l’interdizione dai pubblici uffici anche del diritto all’elettorato attivo, secondo quanto impone l’art. 28 del codice penale.

L’altro dato obiettivo è costituito da una legge, tuttora in vigore, che disciplina casi molto simili a quello in questione, e che in presenza del succitato vuoto normativo pare essere quella più idonea a regolare il caso Craxi. Stiamo parlando della legge 2 gennaio 1958 n. 13, ossia la legge che regola la “concessione di ricompense al valore civile”, effettuate, come impone l’art. 1, attraverso le “medaglie” attribuite a singoli per premiare “atti di eccezionale coraggio che manifestano preclara virtù civica e per segnalarne gli autori come degni di pubblico onore”.

Ebbene, questa legge, nel tentativo di evitare che simili ricompense siano attribuite a soggetti colpevoli di fatti gravi, ha sancito all’art. 11 che “Non possono conseguire ricompense al valor civile e, avendole conseguite, le perdono di diritto coloro che siano incorsi nell'interdizione perpetua dai pubblici uffici”. La ratio è semplice. Qualunque merito possa vantare, chi è stato condannato all’interdizione perpetua dai pubblici uffici l’ha fatta così grossa da non poter ambire al riconoscimento della medaglia al valor civile, non potendo essere considerato “degno di pubblico onore”, come invece richiede l’art. 1.

Il principio animatore della legge che disciplina l’attribuzione delle medaglie al valor civile non può non essere applicato anche a quella che regola l’intitolazione di strade, piazze e monumenti, essendo identica la ratio: non vanno consegnati alla memoria delle generazioni future soggetti che si sono distinti in comportamenti che l’ordinamento vigente considera deplorevoli.

Diversamente, solo un radicale cambiamento di sistema e nei costumi può consentire che principi consolidati di quello precedente vengano demoliti dal successivo. E non c’è dubbio che si tratti di un tentativo in atto. E’ un po’ quello che accade nei mutamenti traumatici di regime, quando strade, piazze e monumenti vengono dedicati ai caduti sotto quello precedente, che li considerava sovversivi e quanto di peggio potesse esistere.

La cosa incredibile è che in questo caso non viene esaltato un ex sovversivo che ha agìto per ideali, ma un uomo che ha coltivato biechi interessi personali, sfruttando le sue funzioni pubbliche per accumulare denaro. Quale regime si sentirebbe di giustificare un simile comportamento?