Il fuorionda di Fini:
nessuna violazione
e tanto interesse pubblico
Bologna, 4 dicembre 2009
(avv. Antonello Tomanelli)
“Le dichiarazioni di Spatuzza sono una bomba atomica”. “I magistrati devono continuare ad indagare, ci mancherebbe altro”. “L’uomo confonde il consenso popolare con una sorta di immunità da qualsiasi autorità di garanzia, la leadership con la monarchia assoluta”. “In privato gli ho detto: ricordati che gli hanno tagliato la testa a…”. In sintesi sono queste le aspre critiche che il 6 novembre, durante un convegno su Paolo Borsellino, il presidente della Camera Gianfranco Fini, conversando amabilmente con il procuratore capo di Pescara Nicola Trifuoggi, rivolge al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Fini non sa (o fa finta di non sapere) che il suo microfono è aperto. In fase di montaggio l’operatore Vincenzo Cicconi scopre le dichiarazioni esplosive e le inoltra a Repubblica, che le carica sul proprio sito. Da quel momento il presidente della Camera è dai berlusconiani considerato un traditore.
Da più parti si è insinuato il dubbio circa la legittimità sia della cognizione che della diffusione di quelle parole. Addirittura c’è chi ha ventilato l’ipotesi di una denuncia all’autorità giudiziaria per il reato di “intercettazione illecita”. Vediamo di chiarire le cose.
La normativa che è stata invocata per regolare la fattispecie è quella contenuta negli articoli 616 e seguenti del codice penale sulla “inviolabilità dei segreti”, dove per “segreti” deve intendersi il contenuto di comunicazioni private. La normativa riguarda due gruppi: le comunicazioni telefoniche e telegrafiche da un lato, quelle informatiche e telematiche dall’altro. E punisce l’installazione di apparecchiature atte ad intercettarle nonché l’acquisizione dei relativi contenuti. Poi, l’art. 623 bis estende la disciplina (con riferimento sia alla installazione che alla intercettazione) “a qualunque altra trasmissione a distanza di suoni, immagini od altri dati”. Punto fondamentale che indicano queste norme è che l’acquisizione delle comunicazioni deve avvenire “fraudolentemente”.
Ebbene, vi sono almeno due elementi che rendono impossibile ricondurre la fattispecie del fuorionda di Fini a quella normativa.
Primo elemento. L’acquisizione del contenuto di conversazioni o comunicazioni deve, per poter essere ritenuta illecita secondo il codice penale, avvenire “fraudolentemente”. E’ questo avverbio a descrivere la condotta illecita. Una condotta che implica necessariamente un’attivazione da parte del soggetto che commette il reato. Un’attivazione che, logicamente, è rappresentata dalla messa in funzione di un meccanismo che gli permette di acquisire la conversazione.
Nel caso del fuorionda di Fini non esiste una condotta del genere. La conversazione tra il presidente della Camera e il procuratore capo di Pescara è stata acquisita attraverso quegli stessi strumenti legittimamente predisposti fin dall’inizio del convegno, ossia i microfoni installati per amplificare la voce dello stesso Fini e degli altri oratori, e per giunta in maniera del tutto casuale. Non è possibile, quindi, sostenere che quella conversazione è stata acquisita “fraudolentemente”, come invece esige la norma penale.
Secondo elemento. Quelle norme incriminatrici riguardano “trasmissioni a distanza”, come fa ben intendere l’art. 623 bis. Ossia, trasmissioni di dati (scritti, parole, voci, immagini, dati informatici, etc.) che presuppongono necessariamente una diversa collocazione spaziale dei soggetti intercettati (si pensi alle telefonate, ai messaggi telegrafici, alle mail). Elemento del tutto assente nel fuorionda, dove Fini e Trifuoggi quasi si toccano.
Ciò non significa che la conversazione (privata) tra due persone fisicamente vicine possa essere sempre acquisita. Vi è una norma che lo vieta, ma a determinate condizioni. E’ l’art. 615 bis del codice penale. Intitolato “Interferenze illecite nella vita privata”. La norma punisce “Chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’art. 614”, ossia nei luoghi che rientrano nel concetto di domicilio. In altre parole, l’intercettazione di una conversazione tra due persone che si trovano nel medesimo contesto spaziale costituisce reato solo quando avviene in un luogo tecnicamente definibile come “domicilio”.
Esclusa quindi qualsiasi rilevanza penale del caso in questione, va analizzata la questione della riservatezza, o come va di moda dire, della privacy. Secondo alcuni, nel diffondere quella conversazione è stata violata la riservatezza di Fini e di Trifuoggi, poiché sarebbe stato necessario il consenso dei due alla diffusione della conversazione.
Francamente, non si capisce come si possa fare un’affermazione del genere. Se durante un consiglio dei ministri Brunetta dà dell’imbecille a Tremonti e la notizia trapela, difficile pensare che Brunetta possa rivendicare la violazione della propria riservatezza per il fatto di non aver fornito il proprio consenso. Si dimentica che Fini è un personaggio pubblico, e che la divulgazione del contenuto di quella conversazione soddisfa un indubbio interesse pubblico, poiché svela ciò che il presidente della Camera pensa realmente del presidente del Consiglio, contribuendo così a delineare il rapporto tra Fini e la collettività in termini di verità. Sotto questo aspetto, la divulgazione di quel fuorionda presenta la stessa legittimità che avrebbe la messa in onda di una conferenza stampa in cui Fini, rivolgendosi direttamente ai giornalisti, parla di Berlusconi utilizzando gli stessi concetti espressi a Trifuoggi quel 6 novembre.
Insomma, è la classica notizia, che la collettività ha il diritto di conoscere. Ed è evidente come i tre tradizionali requisiti del diritto di cronaca siano qui pienamente rispettati: verità (è lo stesso Fini a parlare direttamente), interesse pubblico (lo abbiamo già spiegato), continenza formale (per quest’ultimo requisito nemmeno si pone il problema, visto che la notizia non è “mediata”, ma direttamente fornita dalla fonte, ossia Fini). Argomentare, in questo caso, la violazione della riservatezza (o peggio, della privacy) significherebbe implicitamente tenere un comportamento favorevole alla censura e a rinnegare il ruolo di soggetto sovrano che la Costituzione all'art. 1 attribuisce alla collettività. Che, in quanto tale, deve sapere.