Editoriale di Minzolini:
questa volta attacca
un potere dello Stato
Bologna, 10 novembre 2009
(avv. Antonello Tomanelli)
Aveva giustificato con la parola gossip la mancata diffusione delle notizie sull’inchiesta della procura di Bari, che vedeva l’indagato Gianpaolo Tarantini procurare prostitute al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Aveva stigmatizzato come “assurda” la manifestazione per la libertà di stampa del 3 ottobre promossa dalla Fnsi. Ora Augusto Minzolini alza il tiro. Si inserisce all’interno del Tg1, subito dopo un servizio relativo alla riforma della giustizia. Con argomentazioni peraltro scalcagnate, attacca frontalmente la magistratura (in particolare il magistrato antimafia Ingroia) accusandola di voler sopraffare il potere politico e auspica la reintroduzione dell’istituto dell’immunità parlamentare: ciò a meno di un’ora dalla diffusione della notizia della richiesta, da parte della procura di Napoli, di una misura cautelare nei confronti di Nicola Cosentino, parlamentare del Pdl nonché coordinatore per la regione Campania. L’accusa: concorso esterno in associazione camorristica.
A prima vista, si potrebbe difendere l’operato del direttore del Tg1 appellandosi alla libertà di critica. Ma ad un attento esame, ci si accorge che la libertà di critica incontra precisi limiti con riferimento a quelle trasmissioni destinate, per loro natura, a veicolare le notizie, ossia i telegiornali.
I telegiornali costituiscono la forma più esemplare di cronaca. Hanno la funzione di fornire le notizie in tempo pressoché reale. Seguono immediatamente il fatto, o comunque il contatto tra la fonte rivelatrice e il mezzo di comunicazione. Sono l’anello di congiunzione tra il fatto, così come si realizza nella realtà fenomenica, e la collettività. Fatto che, successivamente, se di rilevante interesse pubblico, confluirà nei programmi di approfondimento informativo.
Nei telegiornali, la circostanza che il mezzo televisivo è il tramite tra la fonte e il telespettatore deve essere tenuta nella massima considerazione. Non si deve mai eccedere lo scopo informativo. E va accuratamente evitato qualsiasi artificio tendente a condizionare il telespettatore. Ciò in quanto nei telegiornali manca il momento del dibattito.
Quello di Augusto Minzolini si presenta, formalmente, come il classico editoriale, che come tale deve necessariamente essere espressione della linea (editoriale) della testata giornalistica in cui è inserito. Tuttavia, è un editoriale in cui la magistratura non viene descritta come un potere dello Stato che applica la legge come esige la Costituzione, ma viene accusata di voler sopraffare il potere politico. Ebbene, se si considerasse il monologo di Minzolini, una volta visionato il contenuto, quale editoriale del Tg1, bisognerebbe concludere che il telegiornale della rete ammiraglia della Rai sposa incondizionatamente le posizioni di questo governo, in primis del presidente del Consiglio, che da sempre vede in Italia una Giustizia indirizzata su obiettivi politici.
Di conseguenza, i casi sono due. O il Tg1 è il classico telegiornale di regime, ossia un organo di informazione al servizio esclusivo del Governo, quindi in antitesi al principio di autonomia di una testata giornalistica. Oppure è il direttore del Tg1 ad aver violato il dovere di autonomia del giornalista, facendosi portavoce della posizione ufficiale del governo, in netta contrapposizione con quanto sancito nella Carta dei Doveri del giornalista: “La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell'editore, del governo o di altri organismi dello Stato”.
A tal proposito, in considerazione del fatto che il direttore del Tg1 ha formalmente fatto propria la storica battaglia del presidente del Consiglio, viene spontaneo chiedersi come qualcuno possa ritenere a lui adattabile quella norma, sempre contenuta nella Carta dei Doveri, secondo cui “Il rapporto di fiducia tra gli organi d'informazione e i cittadini è la base del lavoro di ogni giornalista”. Ce n’è abbastanza per ritenere che tale direttore “con la sua condotta abbia gravemente compromesso la dignità professionale fino a rendere incompatibile con la dignità stessa la sua permanenza nell'Albo”, come recita l’art. 55 della legge n. 69 del 1963 sull’ordinamento della professione di giornalista.