Battesimo ufficiale
del Tg di regime
nell'editoriale di Minzolini
Bologna, 5 ottobre 2009
(avv. Antonello Tomanelli)
Qualche mese fa, il 22 giugno, pressato da coloro che gli chiedevano perché mai il tg1 non desse notizie dell’inchiesta della Procura di Bari da cui emergevano le squillo manovrate da Tarantini e recapitate a Palazzo Grazioli per soddisfare le manie del presidente del Consiglio, il direttore Augusto Minzolini si spiegò agli italiani con un editoriale. Liquidò il tutto con la parola “gossip”, termine abusato per far rientrare nel concetto di privacy comportamenti che i media di tutto il mondo considerano di indubbio interesse pubblico.
Già avemmo modo di commentare quel comportamento di Minzolini: servilismo. Servilismo che si sostanziava in una violazione della Carta dei Doveri del giornalista, laddove dice che “La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del governo o di altri organismi dello Stato”.
Stavolta Minzolini è andato oltre. Alle 20,20 di sabato 3 ottobre la manifestazione per la libertà di stampa promossa dalla Fnsi si è appena conclusa. Il direttore del tg1 l’attacca definendola “assurda” e occasionata unicamente dalle due cause intentate da Berlusconi contro Repubblica e l’Unità. Per la prima volta nella storia della televisione italiana, il direttore di un tg Rai, nell’esercizio delle proprie funzioni, si schiera apertamente e pubblicamente a fianco di un presidente del Consiglio.
Una decisione, quella di Minzolini, non più camuffata, ma addirittura dichiarata, ostentata. E’ una palese violazione della Carta dei Doveri, laddove impone al giornalista di non subordinarsi mai agli interessi “di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del governo o di altri organismi dello Stato”. Non c’è dubbio che l’editoriale di Minzolini sia una pubblica ed esplicita dichiarazione di fedeltà nei riguardi dell’attuale premier. E, nel contempo, di guerra nei riguardi di quell’organo che rappresenta la massima espressione di tutela della categoria. Si può dire che l’editoriale di questo mediocre direttore segna la nascita del tg1 quale telegiornale di regime, dove il principio di autonomia del giornalista, cardine della democrazia, lascia spazio al suo dovere di fedeltà nei riguardi del Governo.
L’editoriale di Minzolini è anche una dichiarazione di disaffezione nei riguardi dei telespettatori, che pretendono dal più importante dei telegiornali la massima obiettività nella diffusione delle notizie. Il direttore del più seguito tg italiano che critica una manifestazione sindacale per la libertà di stampa, indetta per protestare contro gli abusi del premier, abdica alla propria autonomia, dichiarando in sostanza di non voler più perseguire l’interesse generale ad una puntuale ed obiettiva informazione.
Dopo quell’editoriale, non c’è dubbio che qualsiasi telespettatore del tg1 con un minimo di avvedutezza prenderà con beneficio di inventario ogni notizia riguardante il premier, chiedendosi se sia stata omesso qualche fatto rilevante. All'inizio del testo della Carta dei Doveri si legge che “Il rapporto di fiducia tra gli organi d'informazione e i cittadini è la base del lavoro di ogni giornalista. Per promuovere e rendere più saldo tale rapporto i giornalisti italiani sottoscrivono la seguente Carta dei Doveri”. E’ evidente che con il suo editoriale il direttore del tg1 ha vanificato lo scopo per cui è stata varata la Carta dei Doveri.
Vi sono, pertanto, tutti i presupposti perché nei riguardi di Minzolini venga applicata, da parte del competente Ordine dei Giornalisti, la massima sanzione disciplinare, ossia la radiazione. L’art. 55 della legge n. 69 del 1963, sull’ordinamento della professione di giornalista, parla chiaro: “La radiazione può essere disposta nel caso in cui l'iscritto con la sua condotta abbia gravemente compromesso la dignità professionale fino a rendere incompatibile con la dignità stessa la sua permanenza nell'Albo, negli elenchi o nel registro”.
Ebbene, cosa rimanga della dignità di Minzolini dopo quell’editoriale, è un mistero.