I 'vizi privati' di Boffo:
il direttore Feltri
rischia la radiazione

Bologna, 31 agosto 2009

(avv. Antonello Tomanelli)

Lo scoop del direttore del “Giornale” Vittorio Feltri sulle presunte frequentazioni omosessuali di Dino Boffo, direttore dell’Avvenire, l’organo ufficiale della Cei, rischia di tramutarsi in un boomerang, ma di quelli che fanno male. Pare che la cosiddetta “nota informativa” calata da Feltri per distruggere la credibilità di Boffo, da qualche tempo stigmatizzatore dello stile di vita del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, altro non sia che una bufala. Una nota informativa che, a detta di Feltri, proverrebbe dall’autorità giudiziaria, in allegato ad un decreto penale di condanna per il reato di molestie telefoniche. Ma del quale non vi è traccia né nel fascicolo processuale, né negli archivi della polizia di Stato.

Vittorio Feltri ha pubblicato un estratto del certificato del casellario giudiziale da cui si evince che il direttore dell’Avvenire è stato condannato nel 2004 dal tribunale di Terni per il reato di cui all’art. 660 del codice penale, che punisce “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo […]”. Si badi bene: da un estratto del casellario giudiziale si evince una condanna, ma non i motivi di essa.

Invece, Vittorio Feltri ha imbastito su di essa una storia di omosessualità, ostacolata da una moglie che poi sarebbe stata oggetto della rabbia del direttore dell’Avvenire, che l’avrebbe tempestata di telefonate sconce e minacciose al solo scopo di costringerla a lasciargli campo libero sul marito. Il tutto secondo una “nota informativa” della polizia giudiziaria, che dipingerebbe il Boffo, stando a quanto riportato dal Giornale, come “querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla onde lasciasse libero il marito con il quale Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione”.

A quanto pare, Vittorio Feltri avrebbe tentato di screditare agli occhi del mondo cattolico colui che negli ultimi mesi ha riservato severe stoccate a Silvio Berlusconi per il suo stile di vita. Certamente Feltri aveva in mente l’art. 6 del codice di deontologia dei giornalisti, secondo cui “La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica”. Non c’è dubbio che l’essere uno come Boffo, vicinissimo alle più alte sfere vaticane, condannato per il reato di molestie telefoniche ai danni di una signora, commesso nel tentativo di spianarsi una relazione omosessuale col marito, costituisce una notizia, di sicuro interesse pubblico, soprattutto se costui, come è noto, impartisce insegnamenti su quella morigeratezza che dovrebbe caratterizzare lo stile di vita di un presidente del Consiglio.

Ma Feltri, con ogni probabilità, ha preso molto alla leggera il concetto di verità della notizia. La condanna di Boffo è vera. Ma vi sono seri dubbi sulla storia che fa da contorno, soprattutto se si considera che della “nota informativa” citata da Feltri per corroborare la storia di quella relazione omosessuale non vi è traccia nel fascicolo processuale, stando a quanto affermato dal Procuratore della Repubblica di Terni in persona. E il ministro dell’Interno Maroni, interpellato per l’occasione, di concerto con il capo della Polizia Manganelli ha seccamente smentito l’esistenza di una simile “nota informativa”.

La situazione è questa. L’essenza della “nota informativa”, così come presentata da Feltri, è così evanescente da non poter minimamente assurgere a fonte ufficiale, che è quel tipo di fonte dalla quale ogni giornalista può liberamente attingere senza rischiare di violare il dovere di verità. Per giunta, il contenuto di quella “nota informativa” è stato smentito dal ministro dell’Interno, fonte ufficiale per antonomasia. Ne deriva che quanto riportato da Feltri circa la relazione omosessuale mantenuta dal direttore dell’Avvenire deve, allo stato attuale, considerarsi falso.

Ce n’è abbastanza perché Boffo possa lamentare la violazione della propria reputazione (quindi il reato di diffamazione), se si considera la sua posizione di direttore del quotidiano dei vescovi italiani. A Feltri il compito di dimostrare, in giudizio, che quanto da lui pubblicato sul “Giornale” circa l’omosessualità di Boffo corrisponde a verità.

Ma vi sono anche aspetti deontologici che interessano il comportamento di Feltri. In primo luogo, il fatto che lo spietato attacco abbia avuto come obiettivo un direttore di giornale, ossia un collega. Tutti i professionisti (medici, avvocati, giornalisti, etc.) sono deontologicamente tenuti ad un comportamento corretto nei riguardi dei colleghi. Per i giornalisti, tale dovere è sancito all’art. 2, comma 2°, legge n. 69 del 1963, che impone ad ogni giornalista di “promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori”.

E’ evidente che il comportamento di Feltri è quanto di più lontano si possa immaginare da un’idea di “collaborazione” con il collega Dino Boffo. Tra l’altro, qui il rapporto concerne direttori di giornale, ai quali per ovvi motivi è richiesta un’osservanza dei doveri deontologici più stretta di quella che in linea di principio si può pretendere da semplici redattori.

Inoltre, non può sfuggire la circostanza che in questo caso Feltri abbia voluto duramente colpire chi ha assunto posizioni critiche nei riguardi di Berlusconi. In considerazione delle difese d’ufficio che nei toni e nella sostanza va svolgendo Feltri a vantaggio del presidente del Consiglio da quando si è insediato alla direzione del “Giornale” (ma i suoi predecessori non erano da meno), appare evidente la violazione della Carta dei Doveri del giornalista, laddove dice che “La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell'editore, del governo o di altri organismi dello Stato”. La “difesa d’ufficio” del presidente del Consiglio da parte di un direttore di giornale è per la Carta dei Doveri una cosa abietta. Ancor peggio se quel direttore è stipendiato, di fatto, dal presidente del Consiglio, degenerazione quest’ultima del ben noto conflitto di interessi nell’Informazione.

Ne deriva che Feltri andrebbe sottoposto a procedimento disciplinare da parte del competente Ordine dei Giornalisti. Se davvero, come pare trapelare, quella “nota informativa” è una vera e propria bufala, adeguata sanzione sarebbe la radiazione dall’albo.