Foto di Villa Certosa:
Belpietro ha violato
il dovere di autonomia
Bologna, 9 giugno 2009
(avv. Antonello Tomanelli)
Si è parlato tanto delle immagini di Villa Certosa, di come il fotografo Antonello Zappadu le abbia lecitamente catturate, nonché della legittimità della loro pubblicazione, stante l’indubbio interesse pubblico. Al contrario, si è parlato poco del come quelle fotografie siano finite sul tavolo dei pubblici ministeri di Roma, che hanno provveduto a sequestrarle. Qui entrano in ballo principi di deontologia giornalistica, con riferimento a Maurizio Belpietro, il direttore di “Panorama”.
I fatti. Antonello Zappadu propone quelle compromettenti foto a “Panorama”. Il suo interlocutore, un collaboratore del settimanale, si mostra interessatissimo, e le gira subito a Belpietro, il quale ne informa prontamente Niccolò Ghedini, l’avvocato di Berlusconi, che consegna il tutto alla procura di Roma e denuncia Zappadu.
Ora, il direttore Belpietro si è trovato per le mani un materiale che, a suo insindacabile giudizio, poteva essere considerato notizia o spazzatura. E agire di conseguenza, acquistando le foto nell’ottica di pubblicarle o restituendole al legittimo proprietario. Invece, le ha addirittura date all’avvocato Ghedini, stimolando così un procedimento penale, con il presidente del Consiglio come parte offesa.
Come va considerato il comportamento di Belpietro?
Qualcuno ha ipotizzato il reato di “rivelazione di segreto professionale”, previsto dall’art. 622 del codice penale, che punisce “Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento […]”. In realtà, qui la norma non è applicabile, poiché quelle foto, proprio per le finalità giornalistiche che erano destinate a soddisfare (ossia la loro pubblicazione), tecnicamente non possono certo essere considerate alla stregua di “segreto”.
Ma nel comportamento del direttore Belpietro vi è senz’altro la violazione di un preciso dovere deontologico del giornalista: il dovere di autonomia. Assieme al dovere di verità, il dovere di autonomia caratterizza la prestazione del buon giornalista. E’ un dovere imposto dalla Carta dei Doveri attraverso la seguente disposizione: “La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del Governo o di altri organismi dello Stato”.
La norma parte dal presupposto che la subordinazione del giornalista ad un interesse "particolare", contrapposto all'interesse generale, finisca per neutralizzare il concetto di obiettività dell'informazione. L’autonomia del giornalista si sostanzia nel rapporto diretto e immediato con la collettività. Solo a questa deve rendere conto, nell’ottica di un asservimento all’interesse generale. Quando invece il giornalista prescinde dall’interesse generale per servire un interesse particolare, e agendo per il soddisfacimento di quest’ultimo, tradisce la collettività e vìola il dovere di autonomia. Ed è la stessa norma a specificare, attraverso l’utilizzo dell’avverbio “particolarmente”, che la più grave violazione del dovere di autonomia viene dal giornalista commessa quando subordina la sua responsabilità agli interessi “dell’editore, del Governo o di altri organismi dello Stato”.
Ebbene, è significativo come la gravità del comportamento di Belpietro risulti accentuata dalla circostanza che a beneficiare della condotta del direttore di “Panorama” sia stato Silvio Berlusconi in qualità di editore e di capo del Governo. Una doppia violazione della norma, insomma. Ed è altrettanto significativo che Belpietro abbia contattato direttamente l’avvocato di Berlusconi. Una circostanza che dimostra non solo un'eccessiva familiarità di Belpietro con l’entourage del premier, ma soprattutto la naturalezza con cui ne interpreta la volontà. Qui Belpietro non si è limitato a subordinare la propria responsabilità di giornalista agli interessi di Berlusconi editore e capo del Governo, ma ha addirittura agito direttamente nell’interesse di Berlusconi, come se fosse un suo rappresentante.
Una palese violazione del dovere deontologico di autonomia, quindi. Un comportamento molto più grave di quei tanti, puntualmente sanzionati disciplinarmente dai competenti Ordini (molto spesso con la sanzione della sospensione), che vedono giornalisti fare da testimonial per campagne pubblicitarie. La pubblicità del giornalista viene comunemente vista come una violazione del dovere di autonomia, poiché la sua associazione ad un prodotto ne implica la subordinazione ad un interesse commerciale. Ma, francamente, l’autonomia di un giornalista è messa in discussione molto più da un comportamento come questo di Belpietro, nella misura in cui funge da attendente proprio di quei soggetti che la Carta dei Doveri vuole assolutamente estranei al processo di elaborazione della notizia.