'Estremisti di sinistra':
Berlusconi diffama
i giudici di Milano

Bologna, 23 maggio 2009

(avv. Antonello Tomanelli)

Per il tribunale di Milano l’avvocato inglese David Mills ricevette denaro da Silvio Berlusconi per testimoniare il falso al processo “All Iberian” (corruzione di Craxi) e a quello sulle tangenti alla Guardia di Finanza, che vedevano come principale imputato proprio l’attuale presidente del Consiglio. E’ una sentenza di primo grado, ma senza dubbio contiene un accertamento di responsabilità: Berlusconi corruppe Mills. Vista la struttura del reato di corruzione, se non fosse in vigore il Lodo Alfano la pena di 4 anni e mezzo comminata all’avvocato inglese sarebbe toccata anche a Silvio Berlusconi, se non in una misura maggiore.

Quanto basta per far andare il presidente del Consiglio su tutte le furie. Riprendono gli attacchi alla magistratura. Ma questa volta sono specifici. Non si limita a dire genericamente che molti magistrati sono politicizzati e ce l’hanno con lui. Dice che i tre giudici del collegio che ha condannato David Mills, in particolare il presidente Nicoletta Gandus che “sta sempre in piazza”, sono “estremisti di sinistra”. E paragona il processo Mills al derby di San Siro arbitrato da Mourinho, che come tutti sanno è l’allenatore dell’Inter. E nel fare ciò rivendica il diritto di critica nei riguardi dei magistrati. Diritto di critica che, in generale, deve fondare la propria legittimità sull’argomentazione, oltre che sulla sostanziale verità dei fatti su cui si basa. E più una critica è argomentata, maggiore è la probabilità che venga ritenuta legittima.

Battute da strada a parte, con quella frase Silvio Berlusconi ha commesso il reato di diffamazione ai danni dei tre giudici milanesi che hanno condannato Mills, travalicando i limiti del diritto di critica. Vediamo perché.

In generale, additare pubblicamente qualcuno come “estremista”, di destra o di sinistra che sia, non può considerarsi lesivo della reputazione. Ciò in quanto l’essere semplicemente “estremista” non stimola, da parte della collettività, un giudizio di riprovevolezza, come quello che ad esempio provoca l’essere additati come “terrorista”. Al limite, se non rispondente al vero può dare luogo ad una lesione del diritto all’identità personale, che è il diritto a vedersi rappresentati pubblicamente come si è, senza distorsioni del dato reale. Un illecito civile, dunque. Ma nulla di penalmente rilevante.

Questo in generale. Ma le cose cambiano quando la critica è indirizzata ad una particolare categoria di persone, come i magistrati.

Per l’art. 104, comma 1°, Cost. i magistrati costituiscono “un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. E’ il Potere Giudiziario. La loro funzione è quella di reprimere i comportamenti umani che si pongono in contrasto con le leggi emanate dal Parlamento. Lo fanno attraverso un lungo e complesso iter, che accerta la verità nel rispetto del principio del contraddittorio tra accusa e difesa. Questo iter culmina nella emanazione della sentenza, basata su quelle argomentazioni logiche e giuridiche che costituiscono la motivazione. La stessa attività giurisdizionale, quindi, rappresenta la forma più esemplare di critica, che il magistrato rivolge nei riguardi di un comportamento umano.

Una critica che è espressione non della libertà garantita dall’art. 21 Cost., ma di un obbligo imposto dall’ordinamento. Ossia, non frutto di una libera scelta, ma conseguenza obbligata dell’esercizio di funzioni costituzionali.

E’ agevole, quindi, comprendere come nei riguardi dell’attività giudiziaria la libertà di critica garantita dall’art. 21 Cost. subisca una compressione. Gli atti compiuti da un magistrato nell’esercizio delle sue funzioni non possono essere posti sullo stesso piano delle azioni di un politico, il quale gode della più ampia libertà di scelta ed è sottoposto soltanto al giudizio degli elettori. In proposito si noti la lettera dell’art. 101, comma 2°, Cost.: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”.

Più volte la Corte di Cassazione si è occupata del diritto di critica verso i magistrati, in modo particolare i pubblici ministeri. E’ recente la condanna per diffamazione (2006) di Vittorio Sgarbi, reo di aver accusato i magistrati del pool antimafia (in particolare Giancarlo Caselli) di “indagini politiche”. In quell’occasione la Cassazione aveva affermato che “Non sussiste l’esimente del diritto di critica allorché un magistrato del pubblico ministero venga accusato di svolgere indagini politiche”, poiché in generale “l’accusa di asservimento della funzione giudiziaria ad interessi personali, partitici, politici, ideologici, ovvero accuse di strumentalizzazione di quella funzione per il conseguimento di finalità divergenti da quelle che debbono guidare l’operato dei pm, stanti le attribuzioni ed i doveri istituzionali che caratterizzano la posizione ordinamentale di tale rango […] assumono portata offensiva, risolvendosi in un attacco alla sfera morale della persona”.

Si badi bene: lì la critica riguardava il pubblico ministero, che per l’art. 112, comma 1°, Cost. “ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”. Un organo, cioè, la cui funzione è ben diversa da quella del giudice che emette la sentenza. Quest’ultimo deve accertare la verità, mentre il pm porta avanti un’accusa. Il giudice decide in base alle risultanze del principio del contraddittorio, il pm è parte del contraddittorio stesso.

Se quindi, come dice la Cassazione, è diffamatorio accusare un pm di essere “asservito ad interessi politici”, a maggior ragione deve ritenersi tale qualificare “estremista di sinistra” un magistrato giudicante, data la delicatezza della sua funzione (l’applicazione della legge). Soprattutto se si considera che i tentativi di Berlusconi di “politicizzare” Nicoletta Gandus, il presidente del collegio che lo giudicava (e che ha condannato Mills), sono stati respinti sia dalla Corte D’Appello che dalla Corte di Cassazione, che hanno rigettato l’istanza di ricusazione, formulata dai legali di Berlusconi e motivata con l’avere qualche anno fa la Gandus firmato, insieme a diverse centinaia di magistrati italiani, un appello contro le cosiddette “leggi vergogna” votate dal Parlamento.

Sotto quest’ultimo aspetto, non si può non rilevare come la critica di Berlusconi non possa minimamente poggiare sul requisito della verità, essenziale perché una critica possa ritenersi legittima, in quanto requisito escluso proprio da quegli organi giudiziari che hanno valutato e rigettato l’istanza di ricusazione avanzata dai legali di Berlusconi nei confronti del giudice Gandus.

Da notare, poi, la frase con la quale Berlusconi ha voluto sarcasticamente attaccare il collegio giudicante, paragonando il loro operato a quanto di meno imparziale si possa immaginare: l’arbitraggio del derby calcistico tra Milan e Inter condotto da Mourinho, l’allenatore dell’Inter. Conoscendo ormai Berlusconi, è una frase probabilmente ideata nella speranza di far ridere qualcuno, ma che reca in sé un altissimo grado di lesività, minando clamorosamente il principio di imparzialità del giudice.