Ebrei, Olocausto e satira:
quando la barzelletta
diventa reato
Bologna. 27 gennaio 2009
(avv. Antonello Tomanelli)
“Risus abundat in ore stultorum”. E’ il proverbio che ogni persona di media intelligenza avrebbe citato di fronte alle risate dei presenti al comizio di Silvio Berlusconi, tenuto il 18 gennaio al teatro Eliseo di Nuoro a sostegno del candidato del Pdl nelle imminenti elezioni regionali, suscitate da una barzelletta raccontata dal presidente del Consiglio e ambientata in un campo di concentramento nazista.
Ecco la barzelletta pubblicamente raccontata dall’attuale capo del Governo. Un kapò dice ai prigionieri ebrei che ha per loro una notizia buona e una meno buona. “La notizia buona” dice il kapò “è che metà di voi presto verrà trasferita!”. Segue l’entusiasmo e gli applausi dei prigionieri. “La notizia meno buona è che la parte di voi che sarà trasferita è quella che va dalla cintola in giù!”.
Stolti a parte, deve aver avuto un’infanzia poco stimolante il nostro Premier, se si propone di far divertire in questo modo. Sta di fatto che la barzelletta ha suscitato indignazione in quasi tutto il panorama politico italiano, comunità ebraica in testa. Lo storico Marcello Pezzetti, esperto di questioni ebraiche, parla di “cultura della banalizzazione” portata avanti da persone che “non hanno valori o perché sono degli imbecilli”.
Giudizio duro ma condivisibile. E su internet non sono pochi i siti che prendono di mira gli ebrei, costruendovi attorno macabre barzellette, molte delle quali ambientate proprio nei lager nazisti. Una panoramica è offerta da questo articolo di Marco Pasqua apparso su “La Repubblica” del 23 gennaio.
La domanda è: sono lecite simili manifestazioni?
Il genere “barzelletta” è tipica espressione satirica. Come è noto, la satira può far male e ledere la reputazione del soggetto preso di mira. Tuttavia, essendo il diritto di satira tutelato dall’art. 33 Cost. (che sancisce la libertà dell’arte), va verificata la presenza di quell’elemento che una giurisprudenza ormai trentennale richiede perché la satira possa ritenersi lecita (ossia espressione della libertà dell’arte, sebbene lesiva della altrui reputazione): il nesso di coerenza causale tra la qualità della dimensione pubblica del soggetto preso di mira e il contenuto del messaggio satirico. In mancanza di tale nesso, scatta la diffamazione. Nel nostro caso, il “soggetto” preso di mira è la comunità ebraica, che va quindi considerata nella sua attuale dimensione pubblica.
Ebbene, qui è impossibile rinvenire quel “nesso”. Simili barzellette, compresa quella raccontata pubblicamente a Nuoro dal presidente del Consiglio, avallano l’idea dell’ebreo quale soggetto privo di diritti, come tale non riconducibile al concetto di essere umano. Un’idea disgraziatamente condivisa in Italia sul finire degli anni ’30 e che portò alle ben note persecuzioni. Ritenere i messaggi satirici di quelle barzellette in “coerenza causale” con l’attuale dimensione pubblica della comunità ebraica, quindi legittime, significherebbe sposare una tesi antisemita. Solo in un ordinamento che pratica la discriminazione razziale degli ebrei una simile satira potrebbe ritenersi legittima.
Tra l’altro, non si può non rilevare come la struttura tipica della satira ponga il nostro presidente del Consiglio, per via della barzelletta di Nuoro, in una posizione peggiore rispetto a quella assunta dai non pochi siti di ispirazione antisemita ospitati in Rete. La satira nasce e si caratterizza come arte che sbeffeggia il potente, che esalta i difetti dell’uomo pubblico ponendolo sullo stesso piano dell’uomo medio. Come dice Dario Fo, la funzione della satira è mettere “il re in mutande”. Colpendo dal basso verso l’alto, la satira è un formidabile veicolo di democrazia, perché diventa applicazione del principio di uguaglianza: il suddito mette in mutande il re avvicinandolo a sé.
Ebbene, nella barzelletta raccontata a Nuoro da Silvio Berlusconi, uomo pubblico per eccellenza, si assiste ad un rovesciamento della struttura tipica della satira. E’ il re ad aver messo “in mutande” il “suddito”. In altre parole, non solo la barzelletta di Berlusconi è illecita (allo stesso modo delle centinaia che circolano sul web) per la mancanza di quel nesso di coerenza causale che conferisce sempre legittimità alla satira, ma non è nemmeno riconducibile al concetto di satira. Una circostanza che certamente ne aggrava la natura illecita.
Dunque, un’offesa gratuita alla comunità ebraica italiana da parte del presidente del Consiglio italiano, il cui senso istituzionale dovrebbe impedirgli di concepire simili messaggi. Un messaggio che, per quanto detto, legittimerebbe l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, persona giuridica rappresentativa a pieno titolo degli ebrei italiani in forza dell’Intesa del 1987 con lo Stato italiano, ad agire in giudizio nei confronti del presidente del Consiglio per ottenere un lauto risarcimento, avendo quella barzelletta (raccontata pubblicamente) leso gravemente la reputazione della comunità ebraica.