Un magistrato:
'non consentiamo che
la si butti in caciara'
"Non consentiamo che la si butti in caciara"
di Stefano Racheli
(Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma)
Credo che il “caso Catanzaro” sia – come lo fu il “caso De Magistris” – un accadimento il cui nome è del tutto riduttivo, dato che la posta in gioco non si limita a Catanzaro e tanto meno alla Procura della Repubblica di Catanzaro, ma coinvolge il rapporto politica magistratura fino a ricomprendere il corretto funzionamento di un organo di rilevanza costituzionale quale è il CSM.
Si tratta, in altri termini di una metastasi periferica di un cancro che ha il suo epicentro in luoghi vitali per la Nazione.
Dunque occorre meditare seriamente su ciò che sta accadendo. E occorre parlarne.
Ed è necessario far correre le voci, perché la trasparenza è la maggior nemica del Palazzo.
“Buttarla in caciara” significa, dalle mie parti, fare né più né meno quello che fanno una seppia o un polpo degni della loro specie: quando non hanno speranza di affrontare il nemico, si mimetizzano e se neppure questo basta, schizzano molto inchiostro e chi s’è visto s’ è visto.
E’ così anche nei mini gruppi di cui è composta la società (associazioni, partiti, “correnti” dell’ANM, etc): quando una contrapposizione tocca un punto vitale per la sopravvivenza del sistema, si mettono in movimento i “pacieri”.
Essi non vogliono risolvere i problema, ma mettere la sporcizia sotto il tappeto perché sanno benissimo che il venire allo scoperto della questione, in tutti i suoi termini, sarebbe dirompente per il gruppo e ne causerebbe la scomparsa, chiunque sia il vincitore.
Non sempre i “pacieri” appartengono, nel gruppo, alla parte “cattiva”: sempre però traggono, oggettivamente, un vantaggio dalla loro appartenenza e dunque hanno un’innata vocazione a risolvere il problema delle malefatte nel loro foro interno, disapprovando fermamente col loro cuore ciò che non riescono a biasimare con la bocca, specie se questa dovesse agire in pubblico.
I “pacieri” hanno una tecnica raffinata e collaudata nei secoli dal potere sia laico che curiale. Innanzitutto hanno atteggiamenti seriosi e linguaggio apocalittico come se effettivamente si stesse trattando del problema che ha dato luogo allo scontro.
In secondo luogo equiparano tra loro, sin da subito, le parti in causa.
Ciò ha l’oggettivo effetto sia di confondere le idee all’auditorio, non essendo chiaro che reclama per cosa e chi si oppone al reclamo sia di intimorire chi, avendo denunziato le malefatte, si vede collocato sullo stesso piano di chi le ha commesse.
In terzo luogo, ineluttabilmente, i “pacieri” chiedono ai contendenti di fare “un passo indietro”, facendo chiaramente intendere che il non farlo significherebbe manifestare una rissosità non solo sgradita, ma soprattutto, da eliminare in quanto perniciosa per l’unità e la sopravvivenza del gruppo.
L’approdo formale è uno zero a zero, in cui la sconfitta dei “buoni” viene camuffata da pareggio, ancorché – rimanendo invariati i malanni che condussero al conflitto – non si capisco proprio di quale pareggio possa parlarsi.
Quanto ai tempi i “pacieri” sono seguaci fedeli del molierano Briglialoca: “Io considero Signori che il tempo matura ogni cosa e col tempo tutte le cose vengono in chiaro, e il tempo è padre della Verità (…). E per questo appunto, come fate voi, Signori, io soprassiedo, diluisco e differisco il giudizio: affinché il processo, ben ventilato, crivellato e dibattuto, arrivi in prosieguo di tempo alla sua maturità”.
Se, invece di gruppi sociali, si tratta di quel gruppo che chiamiamo Nazione, il metodo è del tutto invariato nella sostanza e dunque dobbiamo aspettarci che si mettono al lavoro i “pacieri” di turno e, per la verità, già si intravede, appena abbozzata, una strategia.
Non ci giurerei, ovviamente, ma mi sembra proprio di intravederla e dunque scrivo queste poche righe per contribuire a risvegliare le coscienze di che legge.
Si parla di lotta tra P.M. Troppo comodo.
Anche quando il ladro è inseguito da un carabiniere si potrebbe parlare di cittadini che si inseguono, ma la dizione sarebbe del tutto fuorviante.
Non c’è lotta tra P.M.: c’è un organo giudiziario che indaga su alcuni cittadini i quali, di professione fanno i magistrati.
Non si litigano per fatti privati o per gelosie professionali, ma perché alcuni (Salerno) sono stati obbligati da una denuncia ad accertare se siano stati commessi reati.
Il fatto che alcuni adempiano al loro dovere non consente a nessuno, allo stato, di affermare che i reati furono commessi, ma consente a tutti di affermare con forza che non c’è in corso una guerra, ma un’indagine giudiziaria.
Quali che siano i contendenti, ciò che interessa sapere è il motivo della contesa.
Ma chi la butta in caciara è esattamente di ciò che non desidera sin parli: più si parla dei contendenti, meno si parla di ciò che alcuni addebitano (in ipotesi) ad altri.
Chiedo dunque: cos’è che Salerno imputa a Catanzaro (ove Salerno e Catanzaro sono, ovviamente, metafore).
E poiché il tutto sottintende che “questo matrimonio non s’ha da fare” (del merito cioè non si deve parlare), occhio ai giornalisti che hanno diffuso la notizia: non vorrei che pian piano si congedassero (o meglio: fossero congedati) per la comune.
La butto lì, ovviamente, ma come diceva quel tale a pensar male si fa peccato ma ci si indovina quasi sempre.
Possiamo far qualcosa di rilevante? Sì e no.
Non possiamo far nulla, anzi non dobbiamo far nulla ovviamente, non essendo noi i giudici di questa vicenda, se per “far qualcosa” si intende usurpare le funzioni di chi istituzionalmente è chiamato a pronunziarsi.
Possiamo far molto invece per costringere chi di dovere a parlare del merito della questione e non, come già accadde nel caso De Magistris, di altro (si è parlato e straparlato di De Magistris, ma chi conosce i fatti su cui indagava?).
Possiamo cioè evitare che la si butti in caciara.
Provate a pensare: se ognuno che legge si impegna a chiarire le idee a cinque persone e ciascuno dei cinque, a sua volta, le chiarisce ad altre cinque e così via …
Come il mercante della legenda che inventò il gioco degli scacchi in breve tempo i pacieri si troverebbero in seria difficoltà.
Provare per credere. Anche (soprattutto?) le utopie talvolta funzionano.
Datevi da fare, cercate cinque amici e dite loro che la vogliono buttare in caciara.
Vedrete che non gradiranno.
FONTE: toghe.blogspot.com