Disegno di legge Cassinelli:
quando dalla stretta
si passa alla farsa
Bologna, 24 novembre 2008
(avv. Antonello Tomanelli)
E’ probabile che all’estero stiano ancora ridendo alla notizia dell’iniziativa legislativa del 19 novembre assunta dal deputato Pdl Roberto Cassinelli, membro della Commissione Giustizia alla Camera, per regolamentare la Rete. Un progetto di legge che il deputato ha avuto il coraggio di definire “legge salvablog in piena antitesi con il ddl ammazzablog presentato da Ricardo Franco Levi”. Secondo Cassinelli, il precedente ddl di Levi, ora ritirato, si poneva quale “misura assolutamente illiberale e inaudita che metteva il bavaglio alla libera circolazione delle idee”.
In effetti, è vero che il disegno di legge Levi imponeva, in linea di principio, a chiunque detenesse un sito o un blog l’obbligo di iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (Roc, tenuto presso l’Agcom). E’ vero che estendeva alle pubblicazioni su internet le norme sui reati di stampa (primo fra tutti, quello di “stampa clandestina” previsto dall’art. 16 della legge sulla stampa del ’48 per chi non effettuasse l’iscrizione al Roc). E’ anche vero, però, che il disegno di legge Levi dispensava dall’obbligo di iscrizione quei soggetti che operano in rete “in forme o con prodotti, quali i siti personali o ad uso collettivo, che non costituiscono il frutto di un’organizzazione imprenditoriale del lavoro”.
Su quest’ultima disposizione si è detto tutto e il contrario di tutto. Le interpretazioni più allarmistiche, equivocando sull’aggettivo “imprenditoriale”, estendevano l’obbligo di iscrizione al Roc a chi si limitava ad inserire un banner pubblicitario o addirittura un annuncio Google Adsense. In realtà, la norma individuava il presupposto dell’iscrizione al Roc non in una generica “attività di impresa”, ma nella “organizzazione imprenditoriale del lavoro” caratterizzante l’impresa stessa.
Certo, tecnicamente nel concetto di “attività di impresa” può rientrare l’inserimento di un banner pubblicitario che garantisce un introito di poche decine di Euro mensili. Ma è quanto accade all’interno dell’impresa che qui conta. Una “organizzazione imprenditoriale del lavoro” richiede l’esercizio di poteri di direzione, di controllo, di coordinamento, di specificazione dell’attività espletata da altri soggetti che operano nell’impresa. Insomma, una struttura organizzata. Cosa impossibile da rinvenire in un sito gestito, ad esempio, da una sola persona, che inserisce alcuni banner. Anche il barbiere, l'idraulico e il piastrellista svolgono “attività di impresa”, ma se lavorano da soli non daranno mai vita ad una “organizzazione imprenditoriale del lavoro”.
Ora l’onorevole Cassinelli, dopo aver bollato come “misura assolutamente illiberale e inaudita” l’iniziativa di Levi, si presenta come strenuo difensore dell’art. 21 Cost., affermando (così si legge nella sua Relazione alla Camera) che “la rete internet sta diventando il mezzo più sfruttato per esprimere e diffondere il proprio pensiero, ed è per questo che va sostenuta e resa sempre più fruibile a tutti i cittadini”. Vediamo come Cassinelli intende "sostenere" la Rete.
Il ddl Cassinelli sottopone all’obbligo di registrazione di cui all’art. 5 della legge sulla stampa (si badi bene: è la registrazione presso il tribunale, non l’iscrizione al Roc) ogni sito internet che abbia come scopo “la pubblicazione o la diffusione di notizie di attualità, cronaca, economia, costume o politica” (premessa generale), quando nella gestione di tali siti si verifichi “almeno una” delle condizioni elencate nell’art. 2, comma 1°. Le condizioni sono talmente tante che è difficile ipotizzare siti esenti dall’obbligo di registrazione. Tra l’altro, balza all’occhio la condizione di cui alla lettera g), il cui avveramento farebbe scattare l’obbligo di registrazione, ossia quando “il gestore e gli autori delle pagine vendono direttamente, o comunque percepiscono compensi correlati alla vendita di inserzioni pubblicitarie all’interno delle pagine medesime”. Questo sì che riguarda l’inserzione di banner e di annunci Google AdSense! Diversamente dal parametro del frutto della “organizzazione imprenditoriale del lavoro” che voleva introdurre Levi.
E l’art. 2, comma 2°, rende ancor più chiari gli scopi che il ddl si prefigge. Esclude dall’obbligo di registrazione quei siti che hanno “quale scopo unico […] la pubblicazione o la diffusione di idee ed opinione proprie e personali”. Se si raffronta questa disposizione con quella già vista del comma 1°, ne deriva che non sarà sottoposto all’obbligo di registrazione chi tiene un blog in cui racconta che lunedi si è scottato un dito scolando la pasta, martedi ha conosciuto l’amore della sua vita, mercoledì ha dovuto portare il gatto dal veterinario. E questi non dovranno nemmeno preoccuparsi di inserire venti banner a pagamento, perché la lettera della norma è inequivocabile: “Sono in ogni caso esclusi dagli obblighi previsti dall’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 […]”, ossia la registrazione presso il tribunale.
Tra l’altro, la registrazione presso il tribunale, previsto dall’art. 5 della legge sulla stampa, è un procedimento certamente più complesso di quello che porta all’iscrizione al Roc (oltre che dispendioso). E il presidente del tribunale potrebbe anche rifiutarla se chi presenta la domanda non è giornalista o non ha provveduto a nominarne uno in qualità di responsabile del sito. Infatti, requisito imprescindibile per quella registrazione, così come disciplinata dall’art. 5 della legge sulla stampa, è la nomina di un direttore responsabile, che deve essere iscritto all’albo dei giornalisti. Su questo aspetto il ddl Cassanelli tace, ma rinvia in continuazione all’obbligo di quella registrazione. E non ci sarebbe da meravigliarsi se qualche presidente di tribunale rifiutasse l’iscrizione in mancanza di un giornalista come direttore responsabile, poiché in caso contrario violerebbe l’art. 5 della legge sulla stampa.
Non c’è dubbio, quindi, che il disegno di legge Cassinelli si pone in aperto contrasto con l’art. 21 Cost., norma che tutela la libertà di manifestazione del pensiero “con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione”. Ciò in quanto si propone di abbattere il circuito dell’informazione in Rete. Peraltro, molto di più di quanto non si proponesse il ddl Levi. Se quest’ultimo poteva essere interpretato come una seria stretta alla libertà sul web, il ddl Cassinelli diventa una farsa, perché nell’invocare il rispetto dell’art. 21 lo riferisce soltanto ai siti che non si occupano di problemi di attualità. E’ come se si limitasse fortemente l’informazione in tv a vantaggio dei reality show.
Del resto, la regolamentazione legislativa dei siti web, con particolare riferimento agli obblighi di registrazione, si presta di per sé a varie critiche. L’obbligo di registrazione nasce nella legge sulla stampa del 1948 sul presupposto che ogni pubblicazione cartacea deve essere riferibile a qualcuno. Anche con riferimento alla stampa non periodica, per la quale l’art. 2 impone negli stampati l’indicazione dei nomi dello stampatore, dell’editore, del luogo e della data di pubblicazione. Ciò nella consapevolezza di dover procedere ad una identificazione preventiva di soggetti che attraverso il cartaceo potrebbero commettere reati, e che in mancanza di quella identificazione con ogni probabilità rimarrebbero ignoti.
Ma tale necessità non si presenta nella Rete. Qui ogni accesso è registrato, e chi scrive è agevolmente identificabile. In altre parole, in Rete non vi è ragione di pretendere quella identificazione preventiva che la legge sulla stampa impone per il cartaceo, per la semplice ragione che sussiste già, sia pure in forma diversa da quella attuata dalla legge sulla stampa.
Vi è un ulteriore aspetto del ddl Casinelli che va segnalato. Tra i soggetti che gestiscono siti esenti dall’obbligo di registrazione, pone all’art. 2, comma 2°, quelli che hanno come unico scopo: “[…] f) la creazione di momenti di discussione e dibattito su temi specifici; g) l’aggregazione di utenti terzi in una comunità virtuale”. Il pensiero corre immediatamente ai forum. E’ significativo che la proposta di legge ostacoli le lucide e articolate manifestazioni di pensiero in ordine ad un fatto di attualità, mentre incentivi la formazione di quelle piazze virtuali in cui spesso centinaia di voci, non seguendo un filo logico, indeboliscono ogni tentativo di analisi critica, che finisce per essere offuscata dalle divagazioni, se non dagli insulti.