Papa Ratzinger, nazista e pastore tedesco
Nell’aprile 2005, all’indomani dell’elezione a Papa di cardinal Ratzinger, sul sito di Indymedia viene pubblicata una vignetta provocatoria. E’ un fotomontaggio che ritrae il neoeletto Pontefice sorridente mentre indossa l’uniforme nazista e con un drappo munito di svastica sullo sfondo, accompagnato da una didascalia che lo definisce “Papa nazista”.
Il 28 aprile la Procura di Roma fa istanza per il sequestro del sito. Il 3 maggio il gip accoglie la richiesta, motivando il provvedimento con la circostanza che il Papa travestito da nazista “ostenta pubblicamente disprezzo per il sentimento religioso e per la persona del Papa in violazione degli articoli 403 e 404 del codice penale”.
Il 20 aprile 2005 il quotidiano “Il Manifesto” pubblica la foto del neoeletto Pontefice, riportando un articolo intitolato “Il pastore tedesco”. Dopo alcuni giorni due avvocati veneti, L.Z. e M.R., presentano presso la Procura di Roma una denuncia ai danni del quotidiano per vilipendio della religione cattolica. Secondo i denuncianti, il riferimento al pastore tedesco “è chiaramente diffamatoria e quindi gravemente offensiva della figura del Santo Padre poiché parifica la Sua persona ad un cane”.
Cominciando dal caso di Indymedia, ad avviso del gip del Tribunale di Roma l’oscuramento del sito si era reso necessario perché la pubblicazione del fotomontaggio aveva realizzato gli estremi del reato di vilipendio della religione cattolica. In effetti, la questione può sembrare semplice. Vi sono pochi dubbi sul fatto che una raffigurazione del Papa vestito con l’uniforme nazista si ponga come offesa alla comunità cattolica. Tuttavia, il caso risulta più complicato a causa della presenza di un dato storico incontestabile, sul quale da più parti si è fatto leva per sostenere la legittimità del fotomontaggio.
Joseph Ratzinger da giovane aveva aderito alla Hitler Jugend, l’organizzazione giovanile diretta emanazione del partito nazionalsocialista tedesco. Non è un segreto. Tant’è che all’indomani della sua elezione, persino il quotidiano inglese “The Sun” aveva sottolineato, a caratteri cubitali, il passaggio del nuovo Pontefice “from the Hitler Youth to Papa Ratzi”.
Ma Joseph Ratzinger, classe 1927, aveva aderito alla Gioventù Hitleriana in maniera tutt’altro che spontanea. A partire dal 1940 l’iscrizione alla Hitler Jugend era divenuta obbligatoria per quelli di età superiore ai 10 anni. Così, i genitori del tredicenne Joseph dovettero adeguarsi.
Fatta questa premessa, del presente caso vanno sottolineati due aspetti. Innanzitutto, manca qualsiasi collegamento tra quella passata esperienza e la dimensione pubblica di Papa Ratzinger. Non si può certo dire, infatti, che l’iscrizione di Ratzinger alla Hitler Jugend fosse, al momento della pubblicazione del fotomontaggio, un fatto che caratterizzava il personaggio. Nel contenitore di cardinal Ratzinger non vi erano frammenti che descrivessero quel passato nazista. Ebbene, già questa circostanza sarebbe di per sé sufficiente a far ritenere illecita quella pubblicazione, poiché il messaggio satirico non può qui ritenersi in coerenza causale con la qualità della dimensione pubblica di Papa Ratzinger.
In secondo luogo, il messaggio veicolato attraverso il fotomontaggio è molto netto. Non occorre alcuna operazione intellettiva per identificarlo. Qui non vi è quella attività di lavorazione (sui frammenti tratti dal contenitore della dimensione pubblica) tipica della satira, ma solo un elementare lavoro di sovrapposizione di immagini. Non si può ricondurre quel fotomontaggio alla libertà dell’arte di cui all’art. 33 Cost. Si tratta di un lavoro che fa pensare più ad un messaggio informativo che non satirico. Va quindi valutato secondo i principi del diritto di critica.
Una critica illecita per violazione del requisito della continenza formale, qualunque sia il significato attribuibile a quella divisa nazista. Se si voleva richiamare l’adesione di Ratzinger alla Gioventù Hitleriana, il fotomontaggio rappresenta un fatto vero, ma passato e trattato come se fosse attuale. Diversamente dal quotidiano inglese “The Sun”, il cui titolo “from Hitler Youth to Papa Ratzi”, sebbene provocatorio, sgancia correttamente dall’attualità i trascorsi nazionalsocialisti di Papa Ratzinger.
Stessa cosa nel caso in cui la divisa nazista volesse riferirsi ad alcune posizioni caratterizzanti il pensiero religioso di Ratzinger, come il rigore dottrinale, la visione cristianocentrica, l’intolleranza nei riguardi dell’omosessualità. Qui l’equiparazione del pensiero di Ratzinger all’ideologia nazista non è supportata dalla minima argomentazione, elemento che renderebbe lecita anche la critica più aspra.
Dunque, la pubblicazione del fotomontaggio è illecita e ha realizzato gli estremi del reato di vilipendio della religione cattolica attraverso l’offesa al Papa. Ma la misura del sequestro del sito, effettuato per evitare il protrarsi del reato, appare eccessiva. Sarebbe stato sufficiente procedere all’oscuramento unicamente della pagina su cui era apparso il fotomontaggio. Il sequestro dell’intero sito sa molto di censura. E l’art. 21, comma 2°, Cost. stabilisce che “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
Per quanto riguarda, invece, il caso del quotidiano “Il Manifesto”, nel merito si devono trarre conclusioni diverse.
L’articolo intitolato “Il pastore tedesco” spiega come il 2005 abbia portato al vertice della Chiesa Cattolica proprio colui che ha guidato un processo che, a partire dall’elezione a Pontefice di Karol Wojtyla, ha visto prevalere una Chiesa arroccata nel suo dogma su una Chiesa sensibile alle problematiche sociali. Un processo al quale hanno dato impulso, appunto, “il papa polacco e il suo pastore tedesco”, come si legge nell’articolo. Joseph Ratzinger sarebbe stato l’esecutore delle epurazioni che hanno colpito la Chiesa più popolare, quella che si scagliava con veemenza contro le ingiustizie sociali e la povertà di massa, soprattutto nel continente latino americano. Ratzinger ovvero “Il Torquemada di Wojtyla”, come lo definisce l’articolo, in evidente riferimento alla carica di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, già Tribunale dell’Inquisizione, che lo stesso Wojtyla gli affidò nel 1981.
E’ evidente che qui il termine “pastore tedesco” assume un valore satirico inserito in un contesto di aspra critica all’operato di Ratzinger, peraltro tedesco. Il quotidiano non ha certo voluto dargli del “cane”. Il suo passato da guardiano dell’ortodossia in nome di una conclamata purezza teologica è dal quotidiano efficacemente sottolineato attraverso l’accostamento della figura di Ratzinger allo strumento attraverso cui si custodisce un prezioso gregge, dunque in piena coerenza causale con la nota metafora pastorale cristiana. Il concetto verrà poi magistralmente sintetizzato da Vauro in una vignetta raffigurante una pecora che brontola: “Noi non possiamo chiamarlo pastore tedesco, e lui può chiamarci pecorelle?”.
Dal punto di vista della satira, non c’è dubbio che il termine “pastore tedesco” sia in coerenza causale con la qualità della dimensione pubblica di Joseph Ratzinger. Dal punto di vista della critica, l’articolo abbonda di efficaci argomentazioni, magari non condivisibili ma libere. Ed è tutt’altro che paradossale affermare che il riferimento al “pastore tedesco”, lungi dall’offendere Ratzinger, al contrario ne sottolinea le capacità intellettuali e di guida suprema.
E’ chiaro che l’iniziativa dei due avvocati veneti, dettata da una analisi superficiale della fattispecie e da uno scarso rispetto per l’art. 21 Cost., è destinata a fallire miseramente.