LA SATIRA RELIGIOSA
Anche la satira religiosa provoca un conflitto tra opposti valori costituzionali. Da un lato, la libertà dell’arte di cui all’art. 33 Cost.; dall’altro, non più il diritto alla reputazione (come negli altri casi finora analizzati), ma il sentimento religioso, tutelato dall’art. 19 Cost., norma che sancisce la libertà di religione.
Poi, la concreta tutela del sentimento religioso è affidata agli artt. 403, 404 e 405 del codice penale, che reprimono il vilipendio di una confessione religiosa. Pertanto, non diversamente da quanto fatto per gli altri casi dove è in gioco la reputazione del destinatario del messaggio satirico, anche qui bisogna valutare, in un’ottica di bilanciamento di valori costituzionali, se e a quali condizioni la tutela della libertà dell’arte (e di pensiero) deve prevalere sulla tutela del sentimento religioso. Proprio come prevale, a certe condizioni, sul diritto alla reputazione.
La satira religiosa può essere suddivisa in due categorie. La prima prende di mira personaggi che, inseriti all’interno di una confessione religiosa, svolgono una funzione terrena. La seconda ha per oggetto simboli ed entità spirituali.
La prima categoria non pone particolari problemi giuridici. Capita di vedere irrisi personaggi di spicco delle istituzioni religiose, a cominciare dalla Chiesa Cattolica. Spesso pagano il prezzo di un atteggiamento pubblico di eccessiva intransigenza nella difesa dei propri valori. Si ricorderà la vena satirica di molti autori all’indomani delle dichiarazioni del cardinal Siri, Arcivescovo di Genova, che negli anni ’90 arrivò a definire incautamente l’Aids “uno strale celeste, un castigo di Dio per punire il peccato sessuale”. O la satira occasionata dalle frequenti prese di posizione di alte gerarchie ecclesiastiche in materia di aborto e famiglia. Ma anche gli scandali che hanno visto coinvolti alte personalità vaticane hanno occasionato una satira pungente.
In questi casi, la posizione del soggetto preso di mira non è diversa da quella del politico, specie quando le manifestazioni avvengono nell’imminenza di consultazioni referendarie ed elettorali (è soprattutto il caso della Chiesa Cattolica). Anche il religioso, nel suo comunicare con la società civile, attira consensi e critiche, alimentando la propria dimensione pubblica. Sarebbe incostituzionale comprimere la libertà di satira in nome di un aprioristico rispetto per la sacralità della funzione prescindendo dal comportamento di chi la esercita. Persino il Papa non va considerato immune alla satira, anche se messaggi dal contenuto eccessivamente vivace e graffiante tendono a mal conciliarsi con la pacatezza che generalmente circonda le esternazioni del Pontefice.
La questione incomincia a complicarsi quando la satira verte su simboli religiosi o entità spirituali. Qui ad essere presa di mira è una cerchia indeterminata di persone (la comunità religiosa) anziché un singolo soggetto, anche se in maniera indiretta. Vengono colpiti soggetti anonimi che, a differenza di coloro che ricoprono incarichi di rilievo, non hanno mai scelto di esporsi pubblicamente accettando di divenire oggetto di satira.
Questo tipo di satira presenta una caratteristica rilevante. Le entità dissacrate non hanno un rapporto oggettivo con la realtà, perché fanno parte del patrimonio esclusivo del credente. Figure come Maometto, Gesù Cristo, Dio e la Madonna esistono se e nella misura in cui preesiste una fede, che è fenomeno soggettivo e intimo per antonomasia. Sono figure che, pur rivestendo un ruolo assolutamente primario nella vita interiore del credente, non hanno alcuna possibilità di incidere sugli eventi del mondo esteriore, a differenza di chi ricopre ruoli confessionali terreni. Sono, cioè, figure prive di dimensione pubblica. Proprio perché attengono alla fede, quindi alla sfera privatissima di chi quella fede pratica, esprimono un concetto antitetico a quello di “dimensione pubblica”.
Da ciò deriva una conclusione decisiva. E’ impossibile qui concepire un messaggio satirico in coerenza causale con la qualità della dimensione pubblica del personaggio, proprio perché non vi è alcuna dimensione pubblica. A maggior ragione per quanto riguarda una figura come quella di Maometto, la cui raffigurazione è addirittura vietata dalla religione islamica e i cui tratti somatici sono perciò inafferrabili per gli stessi musulmani.
Inoltre, può sembrare paradossale, ma affermando la legittimità della satira sulle entità spirituali di una confessione religiosa, ci si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale di laicità dello Stato. Uno Stato è laico quando garantisce la separazione tra religione da un lato, vita istituzionale dall’altro. Legittimando una simile satira attraverso l’attribuzione di una dimensione pubblica ad entità spirituali, si finirebbe per equipararle a quei soggetti capaci di interagire con la realtà proprio perché “terreni”. Conclusione antitetica ad una concezione basata sulla netta differenziazione tra elemento civile ed elemento religioso.
La questione diventa ancor più complessa e delicata quando oggetto della satira diventa la comunità religiosa in sé, che viene irrisa in maniera diretta. Anche qui, come nella categoria precedente, l’offesa si riverbera sui suoi singoli componenti. Ossia su soggetti anonimi che, a differenza di coloro che ricoprono incarichi di rilievo, non hanno mai scelto di esporsi pubblicamente accettando di divenire oggetto di satira. Di questo tipo di satira ne fa le spese quasi sempre la comunità ebraica. Sono note le vignette che raffigurano l’ebreo con fattezze diaboliche mentre impugna la Menorah (il candelabro a sette braccia) come se fosse un forcone, o la Bibbia ebraica come un contenitore d’armi, o il rabbino che trasporta le tavole della Torah su cui campeggia la scritta “razzismo”, tanto per citarne alcune, peraltro quasi tutte apprese da fonti arabe.
Queste vignette in particolare non sono legittime perché il contenuto del messaggio satirico risulta totalmente assorbito nella volontà di offendere. Qui componente unica del messaggio satirico è il pregiudizio razziale. Dando tali vignette per scontato che la dimensione pubblica dell’ebreo è caratterizzata dall’essere diavolo, razzista, dispensatore di dolore e morte, finiscono per descriverla secondo l’ottica di un ipotetico pubblico antisemita.
Qui è indiscutibile la sussistenza del reato di vilipendio della religione ebraica, poiché l’unico nesso di coerenza causale che può rinvenirsi in queste vignette è quello che lega il messaggio satirico al pregiudizio antisemita. Ma non bisogna cadere nell’eccesso opposto e considerare illegittima qualsiasi satira sugli ebrei. Alcuni esempi saranno utili.
Si ricorderà il caso della vignetta pubblicata da un giornale francese durante l’assedio portato nell’aprile 2002 dall’esercito israeliano alla Chiesa della Natività di Betlemme. La vignetta raffigura Arafat e alcuni suoi fedeli che esprimono soddisfazione per la scelta del rifugio guardando il crocifisso, mentre il Cristo esclama: “Non parlatemi degli ebrei!”. Non altrettanto lecita, invece, la vignetta che nella medesima occasione pubblicò Forattini, della quale si parla compiutamente in Il deicidio di Forattini.
Un altro esempio è la vignetta pubblicata da un quotidiano belga in seguito alle reazioni dell’opinione pubblica israeliana alla decisione, annunciata nel 2001 da un tribunale belga, di processare l’allora primo ministro Ariel Sharon per crimini contro l’umanità, per il ruolo assunto nel massacro compiuto nei campi profughi di Sabra e Chatila nel settembre 1982. La vignetta reca una didascalia con la scritta “Il Belgio è divenuto un nemico. Giudicare un macellaio non ha nulla a che vedere con l’antisemitismo” e l’immagine di un ebreo che indossa le proverbiali vesti dell’ultraortodosso mentre, agitando un coltello davanti ad un bambino efebico sorpreso ad orinare, esclama: “Circoncision!”.
Altra vignetta è quella di “Cuore” che ironizza sulla presunta assenza dal lavoro, prestato all’interno delle Torri Gemelle di New York, di alcune migliaia di ebrei americani proprio la mattina dell’11 settembre 2001. La didascalia recita: “Più di 4 mila impiegati alle Twin Towers, ebrei americani o di origine israeliana, la mattina dell’11 settembre non si sono misteriosamente recati al lavoro… Come mai???”; e la vignetta ritrae una donna che risponde “Guardi, noi si doveva circoncidere il pupo… circoincidenze, eh?”.
Queste vignette non brillano per eleganza, irridendo una comunità decisamente in credito di rispetto. Ma le tragedie passate e presenti non possono condizionare un giudizio obiettivo di legittimità. E i tre esempi ora riportati riguardano una satira che può sì considerarsi di cattivo gusto, ma non illecita.
Nella vignetta sull’assedio dell’esercito israeliano alla Chiesa della Natività di Betlemme, il messaggio satirico, consistente nell’insofferenza manifestata da Cristo in croce nei riguardi delle forze militari israeliane, può ritenersi in coerenza causale con gli storici controversi rapporti tra Autorità ebraiche e lo stesso Gesù, rinnegato dal clero di Gerusalemme perché autoproclamatosi Messia.
Negli altri due esempi, non si può dire che l’ironico riferimento alla pratica della circoncisione sia un’offesa al sentimento religioso ebraico. Nel caso della vignetta sul conflitto tra Belgio e Sharon, l’ebreo ultraortodosso rivendica la valenza educativa che la pratica della circoncisione assume nella credenza religiosa ebraica, resa ancor più necessaria, nella sua mente, dal tentativo belga di processare Sharon. Nella vignetta sull’attentato alle Torri Gemelle, non vi è alcuna offesa alla religione ebraica, poiché la battuta sulla circoncisione vuole solo costruire un messaggio satirico intorno a quella che può considerarsi una paradossale diceria ormai di dominio pubblico.
Elemento comune di questo tipo di satira è l’essere occasionata da importanti fatti di cronaca. Qui è un accadimento reale a sollecitare il messaggio satirico. Dunque, anche per quanto riguarda la satira religiosa può trarsi una conclusione analoga a quella che si impone per la satira in generale. Ossia: quanto più la satira è collegata a vicende attuali e di sicuro interesse pubblico, tanto maggiore è la probabilità che il contenuto del messaggio satirico risulti in coerenza causale con la dimensione pubblica del suo destinatario. Coerenza che, al contrario, non può rinvenirsi in vignette simili a quelle analizzate precedentemente, avulse da qualsiasi contesto di cronaca e motivate unicamente dal deprecabile intento di diffondere un pregiudizio antisemita.