Il formaggio che uccide
Nella seconda metà degli anni ’80 si registrano in Europa decessi per intossicazione da listeriosi, che le autorità sanitarie riconducono all’assunzione del formaggio Vascherin. In seguito ad alcuni controlli eseguiti su prodotti simili, le autorità elvetiche proibiscono la vendita di alcuni formaggi a pasta molle, tra cui il Gorgonzola Imperiale, prodotto dalla Società Invernizzi. Il provvedimento verrà ritirato poche settimane dopo, una volta accertata l’innocuità del prodotto.
Ma nel frattempo, il 16 dicembre 1987 appare su “Il Corriere della Sera” un articolo intitolato “Formaggi che uccidono: uno è fatto in Italia”. L’articolo, ricordando la vicenda del Vascherin, commenta il provvedimento di sequestro del formaggio italiano da parte delle autorità elvetiche, riportando una versione dei fatti che la Società Invernizzi reputa diffamatoria.
Il Tribunale di Milano riconosce il diritto di cronaca, ma la Corte d’Appello riforma la sentenza condannando il quotidiano al risarcimento dei danni. Il quotidiano ricorre in Cassazione.
La Suprema Corte conferma la sentenza d’appello, non riconoscendo nella specie il diritto di cronaca. Viene appurato che l’articolista ha sia riferito fatti falsi, sia taciuto importanti circostanze che se citate avrebbero presentato una situazione ben diversa. In particolare, si è falsamente riferito che la Cooperativa di Basilea aveva confermato la presenza del batterio della listeria precedentemente riscontrata dalle autorità elvetiche. Non si è riferito, invece, che il batterio era stato rinvenuto solo sulla crosta; non nei luoghi di produzione, ma in quelli di rivendita; e che il provvedimento delle autorità elvetiche era di natura cautelare, quindi provvisoria (tant’è che in seguito ad un più approfondito esame della vicenda veniva ritirato).
Nel presente caso la mancanza di completezza dell’informazione si è manifestata in due modi: con l’affermazione di fatti falsi e con l’omissione di circostanze rilevanti. La falsa notizia circa la conferma della presenza del batterio da parte della Cooperativa di Basilea (che ha dignità di fonte ufficiale) ha evidentemente rafforzato nel lettore la credenza della nocività del prodotto, già indotta dal provvedimento delle autorità elvetiche (altra fonte ufficiale).
Riportare, anziché omettere, la circostanza che il batterio era stato trovato solo sulla crosta e in luoghi diversi da quelli di produzione, avrebbe spinto il lettore a dubitare che la responsabilità dovesse essere necessariamente riferita al produttore. E avvertire il lettore della natura cautelare, e non definitiva, del provvedimento di sequestro delle autorità elvetiche, lo avrebbe correttamente informato sulla inesistenza di indagini approfondite.
E’ chiaro che tali mancanze hanno fornito al lettore una rappresentazione fuorviante della realtà. Ma è il titolo ad aver prodotto il maggior danno. Attirare l’attenzione del lettore con la dicitura “Formaggi che uccidono: uno è fatto in Italia”, significa predisporlo inevitabilmente, nella lettura dell’articolo, ad associare il gorgonzola imperiale al famigerato Vascherin, responsabile di vari decessi e la cui vicenda era stata citata nello stesso articolo; e a collegare così il consumo del gorgonzola imperiale all’evento morte.
Il caso non può certo paragonarsi a quello descritto in La bufala del crodino cancerogeno. Ma un’informazione più equilibrata avrebbe ugualmente ottenuto il risultato di tutelare il consumatore italiano, senza tuttavia assestare un duro colpo all’immagine di un noto produttore.