Una violenza sessuale distorta
Nel gennaio 1999 il quotidiano “Il M.” dà notizia della conclusione di un processo penale ai danni di G.M. Ripercorrendo le tappe del processo, l’articolista racconta che l’imputato è stato processato per essersi introdotto nottetempo e furtivamente nell’appartamento di I.P., descritta come “anziana signora 63enne”; di averla percossa e costretta, coltello alla mano, a subire un rapporto sessuale. L’imputato è stato assolto dal reato di violenza sessuale e condannato per gli altri reati contestati.
La versione dei fatti riportata sul quotidiano irrita G.M. In effetti, le cose stanno diversamente. I.P. non è l’“anziana signora 63enne” citata dall’articolista, ma la fidanzata di G.M., classe 1963, pressoché coetanea. I fatti rappresentati sul quotidiano non si sono verificati nell’arco di una notte, ma nel corso di una relazione burrascosa durata un anno. Il processo non ha avuto ad oggetto alcuna violenza sessuale, in quanto la querela era stata tempo prima ritirata da I.P.
G.M. cita in giudizio il quotidiano, ma il Tribunale di Trento gli respinge la domanda sul presupposto che l’alterazione dei fatti non ha prodotto alcuna ulteriore lesione alla reputazione di G.M., riconoscendo così la scriminante del diritto di cronaca.
La Corte d’Appello di Trento, presso cui G.M. ha fatto ricorso, accoglie invece la domanda e condanna il quotidiano al risarcimento dei danni, sul presupposto di “una rappresentazione dei fatti effettivamente distorta e lesiva della reputazione di G.M.”
E’ un chiaro caso in cui difetta la completezza della notizia, a causa della superficialità con la quale l’articolista si è documentato sulla vicenda. Una distorsione dei fatti che ha finito per consegnare ai lettori un G.M. assolto dalle accuse più gravi, ma dalla personalità inquietante. Non che una esatta rappresentazione dei fatti avrebbe finito per indicare G.M. come un modello da seguire. Ma è evidente la profonda diversità tra la figura che esce dal processo e quella descritta nell’articolo.
Diversità che ha senz’altro contribuito a creare un allarme sociale attorno alla figura di G.M. Stando alla “verità” diffusa dal quotidiano, sebbene assolto dal più grave reato di violenza sessuale, G.M. rimane persona capace di entrare di notte in un qualsiasi appartamento armato di coltello per aggredire persone sconosciute, anziane ed indifese. Una sorta di mina vagante. In realtà, l’accertato deplorevole comportamento tenuto da G.M. nasce e si sviluppa unicamente all’interno di un rapporto con una determinata persona (I.P., la sua fidanzata). Nulla potrebbe far fondatamente temere, quindi, che un simile comportamento possa riprodursi in futuro ai danni di soggetti a lui casualmente ricollegabili; timore, invece, che l’articolo ha inevitabilmente ingenerato nel lettore.
E’ giusta, quindi, la sentenza d’appello in riforma della sentenza di primo grado. La descrizione che l’articolo fa di G.M. è quella di una persona diversa. E’ come se l’articolo avesse riportato correttamente i fatti, ma riferendoli non a G.M., ma ad un’altra persona, estranea ad ogni fatto, riportando nome e cognome. Quest’ultima sarebbe stata lesa nella sua reputazione esattamente come lo è stato il “vero” G.M. uscito dal processo.