U' dottore
Nell’ottobre 1993 viene presentato in anteprima alla stampa il film “Giovanni Falcone”. Tratta degli intrecci tra mafia e politica che hanno portato all’uccisione del famoso magistrato. Le fattezze fisiche degli attori ricalcano quelle dei personaggi interpretati, tutti indicati con il loro vero nome e accompagnati, nella loro prima apparizione, da apposita dicitura che ne specifica anche le funzioni. Tutti tranne uno, che nel film viene chiamato “U’ dottore”.
U’ dottore è trattato con freddezza da Falcone e il suo pool. Trafuga documenti dalla cassaforte del generale Dalla Chiesa subito dopo l’attentato. Scende da un’auto di servizio e controlla la finestra dell’ufficio del commissario Cassarà, che dopo pochi minuti verrà ucciso. Da dirigente della Criminalpol intercetta la telefonata di un informatore che vuole avvertire dell’autobomba che sta per uccidere il magistrato Chinnici. Il pentito Buscetta ne parla a Falcone come “la talpa nella squadra mobile di Palermo”. Poi u’ dottore viene promosso, ed è considerato da Falcone e Borsellino persona che ostacola le indagini sui rapporti mafia politica operando all’interno degli apparati dello Stato. A Roma incrocia Falcone nei corridoi del Ministero e gli porge quello che ha tutta l’aria di essere l’estremo saluto, per via delle parole pronunciate, l’inquietudine che traspare dall’espressione di Falcone e il montaggio che associa la faccia di u’ dottore a quella della Morte de “Il settimo sigillo”, il film di Bergman che ossessiona Falcone. Atterra all’aeroporto di Punta Raisi poche ore prima della strage di Capaci.
A peggiorare le cose è una didascalia nei titoli di coda, fatti scorrere sul fermo immagine dell’ultima scena: quella in cui u’ dottore, accorso in via D’Amelio subito dopo il massacro del giudice Borsellino e della sua scorta, ordina perentoriamente ad un poliziotto di cancellare il proprio nome dalla relazione di servizio. La didascalia recita: “Il numero tre dei servizi segreti (SISDE) già capo della squadra mobile di Palermo, è arrestato per concorso in associazione mafiosa”. Al termine della proiezione, nessuno tra i presenti dubita che u’ dottore, in realtà, è Bruno Contrada.
Con procedimento d’urgenza, Contrada, che da un anno si trova in carcere, fa istanza al Tribunale di Roma perché inibisca la programmazione del film su tutto il territorio nazionale. Il Tribunale gliela nega, anche perché in udienza il produttore si obbliga ad eliminare quella compromettente didascalia che appare nei titoli di coda. Ma Contrada non si arrende, e cita in giudizio produttore, regista e sceneggiatore del film, ritenendolo gravemente diffamatorio. Il Tribunale dà ragione a Contrada. Si va in appello.
La Corte d’Appello di Roma conferma la condanna ritenendo il film lesivo della reputazione di Contrada (che nel frattempo è stato assolto in appello con formula piena dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa). Secondo la Corte, vi sono alcune scene del film, riguardanti il Contrada, che non trovano riscontro nella realtà dei fatti. Su questo presupposto, la Corte d’Appello di Roma afferma: “Sebbene l’opera cinematografica non possa assimilarsi alla stampa giornalistica, qualora essa manifesti un intento documentaristico e contenga la rappresentazione di personaggi reali e riconoscibili, deve comunque osservarsi l’obbligo di controllo della verità dei fatti. Sussiste, pertanto, lesione del decoro e dell’onore se le vicende narrate non sono rispondenti al vero”.
Il film descrive u’ dottore inequivocabilmente colluso con la mafia. Cosa che può anche starci, visto che il Contrada all’epoca è in stato di custodia cautelare con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Dunque può dirsi che la collusione di Contrada con la mafia è il fatto maggiore appreso da fonti ufficiali, quindi narrabile. Ciò legittima pure una particolare colorazione del personaggio: la freddezza e la diffidenza che Falcone e colleghi ostentano nei suoi riguardi, il suo sguardo vigile sui movimenti del pool e dei propri ausiliari. Rappresentazioni, queste, certamente in sintonia con l’essere un funzionario dello Stato colluso con la mafia.
Rientra certamente nel diritto di cronaca la scena in cui Buscetta rivela a Falcone che u’ dottore è la “talpa” all’interno della squadra mobile di Palermo, essendo tale rivelazione riportata in atti ufficiali.
Al contrario, non risulta che sia stato Contrada ad intercettare la telefonata che avvertiva dell’agguato contro Chinnici, come non risulta che abbia sottratto documenti dalla cassaforte del generale Dalla Chiesa subito dopo l’attentato, né costretto un agente in via D’Amelio a cancellare il proprio nome dalla relazione di servizio. Eppure, nel film, u’ dottore commette questi fatti.
Come non risulta provato che il Contrada abbia avuto un ruolo nell’uccisione del commissario Ninni Cassarà. Eppure lo si vede scendere da un’auto di servizio e guardare la finestra dell’ufficio del commissario, mentre questi chiama la moglie per avvertirla del suo ritorno per il pranzo. La telefonata viene intercettata, il commissario esce dall’ufficio: un commando lo ucciderà sotto casa. Il messaggio inviato allo spettatore è che u’ dottore ha avuto una parte nell’omicidio del commissario Cassarà.
Né risulta che il Contrada sia implicato nell’omicidio di Falcone. Eppure è inquietante quel saluto che u’ dottore gli rivolge nei corridoi del Ministero e l’associazione della sua faccia a quella della Morte de “Il settimo sigillo”. Già questo fa pensare che Falcone vede u’ dottore come il proprio carnefice. Ma u’ dottore lo si vede poco dopo atterrare all’aeroporto di Punta Raisi mentre viene collocato l’esplosivo che provocherà la strage di Capaci. Il messaggio è che i timori di Falcone erano fondati, e che u’ dottore ha effettivamente contribuito all’eliminazione dello scomodo magistrato.
Per poter valutare la legittimità di queste scene, occorre rifarsi alla già vista distinzione tra fatto maggiore e fatto minore. Ogni scena riguardante u’ dottore va quindi collocata nel contesto dell’accusa formulata ai danni del Contrada al momento della diffusione del film: concorso esterno in associazione di tipo mafioso, che è l’informazione base e rappresenta il “fatto maggiore”.
Rispetta il fatto maggiore (così come apprendibile all’epoca) descrivere u’ dottore come un funzionario infìdo, che controlla le mosse di chi lavora contro la mafia. Travalica i limiti del diritto di cronaca, invece, attribuirgli un ruolo attivo in delitti gravissimi, quali gli omicidi di Chinnici, di Cassarà e di Falcone stesso, ruolo ufficialmente mai riscontrato. Queste scene, infatti, travisano il messaggio informativo, ampliandolo fino ad associare u’ dottore ad avvenimenti ben più gravi della semplice collusione con la mafia. Non possono, quindi, essere considerati “fatti minori”.
Poi vi sono altri fatti attribuiti a u’ dottore: il furto di documenti dalla cassaforte del generale Dalla Chiesa e l’episodio di via D’Amelio. Entrambi immaginari. Bisogna verificare se tali fatti possono essere considerati “minori” e fatti rientrare, quindi, nel diritto di cronaca associato all’arte.
Per un alto funzionario dello Stato, concorrere esternamente in una associazione di tipo mafioso (fatto maggiore) può normalmente implicare la commissione di reati come il furto di documenti, la rivelazione di segreti d’ufficio, il falso ideologico o materiale (fatti minori). Reati, cioè, la cui attribuzione immaginaria non può in alcun modo accrescere la lesione alla reputazione già causata dalla narrazione del fatto maggiore (vero), che ingloba quello immaginario. In altre parole, questi reati costituiscono uno sviluppo logicamente prevedibile del fatto maggiore (associazione di tipo mafioso).
In quest’ottica, però, il peggio di quello che nel film viene attribuito a u’ dottore non può essere considerato il normale sviluppo di quanto nella realtà la magistratura aveva contestato al Contrada. Il suo appoggio esterno alla mafia degenera nella partecipazione di u’ dottore ai più efferati delitti di Cosa Nostra. Mentre nella realtà il Contrada fornisce un supporto “esterno” alla mafia, nel film u’ dottore collabora attivamente alla mattanza di poliziotti e magistrati, cosa che non può certo essere considerata “fatto minore”, perché al contrario amplia il “fatto maggiore”. La degenerazione risulta grave soprattutto se si considera che all’epoca del film il Contrada era in attesa del giudizio di primo grado, al termine del quale verrà condannato a dieci anni di carcere.