I banchieri di Dio
Nel marzo 2002 esce nelle sale cinematografiche “I banchieri di Dio”, di Giuseppe Ferrara. Il film si propone di fare luce sugli ambigui rapporti tra mondo dell’alta finanza, Loggia P2 e Vaticano, che portarono all’assassinio del presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi, avvenuto a Londra il 18 giugno 1982.
I personaggi del film sono il banchiere Calvi, la moglie Clara, monsignor Paul Marcinkus (presidente dello Ior, la banca vaticana), Papa Woityla (il cui viso non è mai inquadrato “per doveroso rispetto verso il Santo Padre”), Licio Gelli, i vertici del Banco Ambrosiano, i giudici dell’inchiesta sulla Loggia P2, Francesco Pazienza, alcune fra le più alte personalità della politica ed altri personaggi che frequentano gli ambienti massonici e vaticani. Tra questi, Flavio Carbone, un faccendiere sardo interpretato dall’attore Giancarlo Giannini.
Calvi incontra Carbone nel periodo in cui i rapporti con il Vaticano vanno raffreddandosi, a causa della situazione di grave dissesto finanziario in cui versa il Banco Ambrosiano, in parte causato dal miliardo di dollari che Calvi, suo malgrado, ha dovuto versare a Solidarnosc dietro invito del Papa stesso. Calvi subisce un breve periodo di detenzione in seguito a condanna per esportazione illecita di capitali. Una volta fuori, si sente minacciato. E’ a conoscenza di segreti compromettenti, che in parte riguardano le partecipazioni dello Ior nelle cosiddette “panamensi”, società ombra costituite al solo scopo di finanziare “operazioni sporche”. Segreti che Calvi minaccia implicitamente di rivelare, se non verrà aiutato nel salvataggio del Banco Ambrosiano dalla imminente bancarotta.
Carbone lo mette in guardia dal pericolo rappresentato dai “comunisti delle Procure”, lo convince ad espatriare clandestinamente e lo accompagna in Austria. Da qui Calvi vorrebbe raggiungere Zurigo per recuperare fondi e documenti riservati. Ma Carbone riceve l’ordine di impedirglielo. Così, lo porta prima a Innsbruck, poi a Londra.
A Londra Calvi trascorre alcuni giorni rinchiuso in un modesto albergo, protetto dagli uomini di Carbone e consumato tra dubbi e paure. Una sera viene preso in consegna da un gruppo di siciliani che, con la scusa di condurlo in un luogo sicuro, lo porta sul Tamigi, dove viene narcotizzato, messo su una barca e impiccato sotto il ponte dei “Frati Neri”.
Carbone ritiene gravemente diffamatorio il ruolo interpretato da Giancarlo Giannini, perché lo fa apparire coautore nell’omicidio di Calvi, mentre il fatto – sostiene è assolutamente falso. Ammette, infatti, di essere stato incarcerato su ordine del gip del Tribunale di Roma in data 08.04.1997 per concorso nell’omicidio di Calvi. Ma sottolinea come quell’ordinanza sia stata poi revocata il 03.12.1997 dal Tribunale del Riesame. Così, fa istanza al Tribunale di Roma perché inibisca la proiezione del film.
Il Tribunale respinge il ricorso del Carbone ritenendo sussistente il diritto di cronaca, e affermando che “I criteri interpretativi elaborati dalla giurisprudenza in tema di cronaca giudiziaria sono applicabili anche all’opera cinematografica, quando l’intero filmato si richiami al contenuto di atti e documenti dell’autorità giudiziaria, contenga cartelli esplicativi con analoghe precisazioni e tale risulti il complessivo ambito di riferimento dell’opera in considerazione del taglio eminentemente realistico e quasi documentaristico della stessa”.
Il Tribunale di Roma ha respinto la richiesta del Carboni in quanto i fatti narrati nel film risultano interamente tratti dall’ordinanza con la quale il gip del Tribunale di Roma aveva incarcerato il Carbone. Fatti appresi da una fonte ufficiale, quindi. Fatti che il Tribunale del Riesame aveva avvalorato confermando i gravi indizi di colpevolezza del Carbone, e disponendo la scarcerazione solo perché non aveva ritenuto sussistenti le esigenze cautelari. Di conseguenza, dal punto di vista della legittimità del diritto di cronaca, i fatti narrati nel film sono ufficialmente “veri”, per giunta confermati da altra fonte (Tribunale del Riesame) che il Carbone aveva citato a sua discolpa.
Parecchie scene riguardanti il Carbone sono accompagnate da sottotitoli che riportano fedelmente alcuni passi dell’ordinanza di custodia cautelare che lo ha portato in carcere, in molti casi addirittura con l’indicazione del numero di pagina del provvedimento. Dimostrazione di serietà e obiettività con cui l’autore ha voluto fare cronaca su una vicenda estremamente delicata.
Il Carbone viene descritto come un personaggio che vanta stretti contatti con le alte sfere del potere e con la massoneria, che arriva a definire “dieci volte più potente della Democrazia Cristiana”. E’ accattivante, abile nel mescolare bugie a verità e nel conquistarsi la fiducia di Calvi, che finisce per affidarsi a lui completamente. Lo convince ad espatriare clandestinamente e se lo porta in giro per mezza Europa, rimanendo sempre in contatto telefonico con misteriosi personaggi che dall’Italia gli impartiscono ordini.
Al termine del breve soggiorno londinese, Calvi viene preso in “custodia” da un gruppo di siciliani che lo porta su una banchina del Tamigi. Qui Calvi attende nervosamente l’arrivo di qualcuno. Riceve una telefonata che gli annuncia un cambiamento di programma. Non è percepibile la voce dell’interlocutore, ma dal tono un po’ stizzito ma familiare di Calvi è evidente che si tratta di persona fidata. Tra la telefonata e lo stordimento di Calvi passano solo pochi secondi. Ciò significa che quella telefonata non ha voluto solo rassicurare Calvi, ma anche dare un preciso segnale agli uomini che lo accompagnano. Non è azzardato pensare che dall’altra parte del telefono ci sia proprio il Carbone, che si scusa con Calvi del contrattempo e lo invita a seguire fiducioso i suoi carnefici.
In effetti, si può dire che la scena della telefonata, pur trattandosi di un monologo di Calvi, è quella dove pare più stretto il collegamento tra il Carbone e l’omicidio del banchiere. Ma anche se apparisse evidente che il Carboni è l’autore della telefonata, e falso il fatto in sé, ci si troverebbe sempre nell’ambito del diritto di cronaca. Quella telefonata ha dato il via alla morte di Calvi. E questo fatto non contrasta con l’informazione base (fatto maggiore) appresa dalla fonte ufficiale, ossia che il Carbone ha in qualche modo contribuito all’omicidio di Calvi. Rappresentare con quella telefonata la posizione del Carbone nell’intera vicenda è una scelta dell’autore (fatto minore) legittimata dalla libertà di creazione artistica e dettata dalla necessità di esteriorizzare in qualche modo la partecipazione del Carboni al risultato finale.
Per il resto, il comportamento spesso ambiguo del faccendiere si limita a suggerire allo spettatore che non è esattamente il tipo nelle cui mani Calvi avrebbe dovuto affidare la propria vita. Ma non vi è nessun’altra scena che attribuisca anche solo lontanamente un ruolo attivo del Carbone nell’eliminazione del banchiere. L’accostamento del Carbone all’uccisione di Calvi è fornito più dalla magistrale interpretazione di Giancarlo Giannini, che non dai fatti narrati.
Anzi, il mistero intorno alla identità dell’interlocutore telefonico prova tutto tranne la volontà dell’autore di travisare i fatti a danno del Carbone. La mancanza di qualsiasi scena che possa collegarlo direttamente e inequivocabilmente all’omicidio, mostra come l’autore si sia adoperato nel rispettare pienamente il principio della presunzione di non colpevolezza, insito in qualsiasi provvedimento giudiziario non definitivo. Sforzo che non si può dire sia stato dedicato dallo stesso regista a Bruno Contrada, quando girò “Giovanni Falcone”.