L'attacco di 'SuperQuark' all'omeopatia
L’11 luglio 2000 va in onda in prima serata su Rai1 “SuperQuark”, a cura del giornalista Piero Angela. La puntata verte sulla medicina omeopatica. Il conduttore manda in onda una serie di servizi e di interviste che negano la validità scientifica dell’omeopatia. I servizi risultano confezionati con una particolare tecnica di montaggio. Mentre la medicina tradizionale viene collocata in una rassicurante atmosfera di modernità, quella omeopatica è calata in un’ambientazione di tipo medievale, con salassi, alambicchi e coccodrilli impagliati.
Vengono poi interpellati diversi autorevoli rappresentanti della medicina tradizionale, che esprimono opinioni decisamente negative sui fondamenti scientifici dell’omeopatia, la cui presunta efficacia viene ricondotta unicamente al cosiddetto effetto placebo. Nessun medico omeopata viene intervistato. Nel tentativo di demolire il principo di diluizione, uno dei fondamenti dell’omeopatia, si mostra un esperimento che Paolo Bellavite, medico “tradizionale” e docente di Patologia Generale all’Università di Verona, definirà “un esempio di grossolana ignoranza”. Infine, si citano, con l’aiuto di esperti del calibro di Fernando Aiuti, Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini (noti esponenti della medicina tradizionale), i rischi cui il malato si espone nell’intraprendere una cura omeopatica.
Il dott. Ciro D’Arpa, presidente della Società Italiana Medici Omeopatici, giudica la trasmissione gravemente lesiva della reputazione dell’intera categoria da lui rappresentata e sporge querela per diffamazione ai danni di Piero Angela, che viene rinviato a giudizio dinanzi al Tribunale di Catania.
Il tribunale assolve Piero Angela riconoscendogli il diritto di critica. Dopo aver premesso che compito del giudice non è “esprimere un giudizio o una qualsiasi valutazione tecnica sulla efficacia terapeutica dei prodotti omeopatici o sulla loro eventuale dannosità”, ma solo “valutare sotto un profilo squisitamente tecnico giuridico se Piero Angela […] abbia offeso la dignità dei medici omeopati”, il Tribunale afferma che nella trasmissione“i limiti della c.d. continenza e quello della c.d. verità […] venivano rigorosamente rispettati dall’imputato Angela”.
La sentenza del Tribunale di Catania si pone in aperto contrasto con il principio della libertà di scienza sancito all’art. 33 Cost., oltre ad essere palesemente contraddittoria.
Nella motivazione del provvedimento, il Tribunale esordisce precisando che non è compito del giudice “esprimere un giudizio o una qualsiasi valutazione tecnica sulla efficacia terapeutica dei prodotti omeopatici o sulla loro eventuale dannosità”. Al processo, invece, diversi rappresentanti della medicina tradizionale, chiamati dalla difesa di Piero Angela a testimoniare, affermano che l’omeopatia non ha alcuna validità scientifica. E il Tribunale ha basato la sua decisione in gran parte sulle suddette testimonianze.
Emerge, quindi, una evidente contraddizione. Da un lato, il Tribunale riconosce di non poter giudicare l’efficacia della medicina omeopatica (come infatti dovrebbe essere); dall’altro, però, consente a Piero Angela di provarne l’infondatezza scientifica.
E’ questo l’errore del Tribunale che vizia in gran parte la decisione finale. Consentendo a Piero Angela di provare che l’omeopatia non ha fondamento scientifico, il giudice ha avallato l’idea che esiste una sola scienza “vera” (quella “tradizionale”) e che non hanno alcun valore le tesi scientifiche che non si conformino a quanto dalla scienza “vera” sostenuto. E basandosi sulle risultanze di quelle prove testimoniali, il Tribunale ha negato all’omeopatia il carattere di scienza. La conclusione è esemplarmente sintetizzata nella frase che compare nella parte finale della motivazione: “O una cosa è oppure non è, o una cura funziona oppure non funziona”. Viene così riesumato il principio di verità e unicità della scienza ufficiale.
Che, per inciso, è proprio quello che il Costituente ha voluto evitare sancendo all’art. 33 Cost. il principio della libertà di scienza. Non esiste una verità assoluta, una scienza ufficiale. Può solo esistere una scienza più seguita, ed altre meno seguite ma egualmente libere. Di conseguenza, la fondatezza (o infondatezza) scientifica di una disciplina non può mai formare oggetto di accertamento giudiziale (che è il procedimento tipico attraverso cui si appura la verità) proprio in quanto il nostro ordinamento non concepisce una scienza “vera”. E la medicina omeopatica non è assimilabile alla stregoneria, poiché si basa su metodi empirici, osservazioni dirette, ripetibili e sulla verificabilità dei risultati. E’ una disciplina scientifica oggetto di dibattito in seno alla comunità scientifica, nonché di insegnamento anche nelle maggiori università del mondo occidentale.
L’errore del Tribunale non è stato soltanto quello di consentire di provare qual è la scienza valida. La prova, infatti, era fornita dalla testimonianza di soggetti tutt’altro che imparziali rispetto alla controversia (rappresentanti della medicina tradizionale), con violazione del più elementare principio in tema di prova testimoniale: quello dell’assoluta “terzietà” del testimone rispetto agli interessi in causa. L’oggetto del processo si è spostato dalla lesività della puntata di “SuperQuark” dell’11.07.2000 alla validità scientifica della medicina omeopatica. Ed è chiaro che i sostenitori della medicina tradizionale hanno tutto l’interesse a screditare la medicina omeopatica, dal momento che questa si oppone a quella sia nei principi che nei metodi di cura.
Il principio di terzietà del testimone sarebbe stato violato anche qualora la prova testimoniale fosse provenuta dai medici omeopati. In conclusione, non è possibile provare giudizialmente la validità scientifica di una disciplina, non solo per la presenza dell’art. 33 Cost., ma anche per ragioni logiche. Il giudice dovrebbe nominare un esperto, che affermi qual è la disciplina “vera”. Ma l’esperto non potrebbe mai fornire una risposta obiettiva, appartenendo necessariamente all’una o all’altra “corrente scientifica”.
Premesso, quindi, che non aveva alcun senso provare l’infondatezza scientifica dell’omeopatia, è ora necessario analizzare il caso dal punto di vista della problematica del diritto di critica. Ebbene, è pienamente legittimo criticare l’omeopatia, come lo è criticare la medicina tradizionale. E’ quindi lecito sostenere che la medicina omeopatica difetta di validi presupposti scientifici. Ma qui bisogna fare i conti con i tradizionali limiti in tema di diritto di critica.
In primo luogo, assume rilievo la circostanza che la trasmissione ha riportato esclusivamente i pareri di medici tradizionali, per quanto autorevoli. Nessun medico omeopata è stato intervistato o menzionato. Ciò rappresenta una grave violazione del requisito della continenza formale. Si badi bene: non è la stessa situazione verificatasi nella trasmissione Satyricon condotta da Daniele Luttazzi, quando invitò il giornalista Marco Travaglio per parlare del suo libro su Berlusconi (si veda Il caso Satyricon). Nel caso di Satyricon la critica a Berlusconi era basata su fonti ufficiali, ossia su un tipo di fonte di cui non ha senso parlare per la critica scientifica, che non può basarsi su fatti veri in quanto non esiste una scienza vera.
Volendo Piero Angela esprimere una critica scientifica, avrebbe dovuto dare a medici omeopatici la possibilità di argomentare la “propria” verità. Solo così il requisito della continenza formale avrebbe potuto ritenersi rispettato. Invece, non solo non ha riportato interviste di medici omeopatici, ma ha addirittura delegato a rappresentanti della medicina tradizionale il compito di spiegare la medicina omeopatica.
Con i risultati che si possono immaginare. Ma vi è di più. Nel corso della trasmissione Piero Angela manda un servizio che si propone di dimostrare l’infondatezza scientifica di uno dei principi fondamentali dell’omeopatia: il principio della diluizione. E’ noto che le sostanze omeopatiche contengono una quantità di principio attivo estremamente bassa, ottenuta attraverso successive diluizioni della sostanza originaria. Si tratta di una sostanza naturale, simile a quella che in un soggetto sano provoca gli stessi sintomi del male che si vuole combattere, e che agisce sul sistema immunitario fornendogli l’“informazione” per sconfiggere l’agente esterno. E’ un meccanismo simile a quello su cui si basa l’efficacia del vaccino.
Il meccanismo è opposto a quello che governa ogni cura nella medicina tradizionale allopatica, poiché quest’ultima si basa sull’azione di principi attivi contrari a quelli che hanno provocato il male, attraverso cioè l’aggressione diretta dell’agente esterno ad opera, ad esempio, dei principi attivi contenuti in un antibiotico.
Ebbene, viene mostrato il seguente esperimento. Si fa vedere l’azione del principio attivo contenuto in un antibiotico nei confronti di una coltura batterica. Il risultato è che i batteri sono tutti sterminati. Poi si procede alla progressiva diluizione dell’antibiotico, ripetendo la prova e facendo notare che quanto più l’antibiotico è diluito, tanto meno è efficace la sua azione sui batteri, che incominciano a riprodursi normalmente non appena la diluizione raggiunge livelli percentualmente vicini a quelli omeopatici. Risultato: l’azione del principio attivo contenuto nei prodotti omeopatici è nulla nei confronti di qualsiasi batterio. E si presentano i successi ottenuti dai prodotti omeopatici come dovuti esclusivamente all’effetto placebo.
L’esperimento – giova ripeterlo è stato definito da Paolo Bellavite, medico “tradizionale” e docente di Patologia Generale, “un esempio di grossolana ignoranza”. Il perché è facilmente comprensibile. Se la medicina omeopatica agisce non contro l’agente esterno che attacca l’organismo, ma in ausilio del sistema immunitario, è evidente che l’esperimento non ha alcun valore, proprio perché condotto secondo i principi aggressivi della medicina allopatica.
Tra l’altro, l’esperimento ignora un altro dei fondamentali principi su cui si basa la medicina omeopatica: quello dell’imprescindibilità della cura omeopatica dalle caratteristiche individuali di ogni organismo. Mentre il rimedio della medicina allopatica, basandosi unicamente sugli effetti del principio attivo sulla malattia, prescinde totalmente dalla tipologia del paziente, quella omeopatica è sempre individualizzata in funzione del soggetto malato. Di conseguenza, l’esperimento mostrato nel corso della trasmissione non può essere preso in considerazione proprio perché manca il paziente.
L’esperimento dell’antibiotico porta ad una evidente falsificazione delle teorie omeopatiche. Dà per scontato che la medicina omeopatica si basi sull’azione diretta dei principi attivi sui batteri, anziché sul sistema immunitario. Ed è poco credibile che un giornalista scientifico del calibro di Piero Angela non fosse consapevole che un esperimento del genere non avrebbe potuto avere alcuna pertinenza con la medicina omeopatica. E’ chiaro, quindi, che la medicina omeopatica è stata dal programma rappresentata in maniera tale di screditarne i metodi di cura. Pertanto, non sarebbe serio tentare di ricondurre la puntata di “SuperQuark” dell’11 luglio 2000 al diritto di critica.
E’ da rilevare, comunque, che sarebbe stato meglio esperire un’azione civile, anziché penale. Il reato di diffamazione, infatti, si basa sul dolo, ossia sulla volontà del giornalista di offendere, mentre l’illecito civile avrebbe potuto essere agevolmente dimostrato essendo sufficiente per la sua realizzazione la colpa. Non a caso, in diversi passi della sentenza il giudice ripete che Piero Angela non aveva comunque intenzione di offendere la categoria dei medici omeopatici. Affermazione difficile da condividere. Ma che indica la maggiore difficoltà che il querelante e il pm, nell’ipotesi della diffamazione, incontrano nel fornire la prova della responsabilità penale dell’imputato, rispetto a quella che si riscontra nell’ambito di un’azione civile, dove è sufficiente provare la colpa.