Forattini e la lista Mitrokhin
Nel settembre 1999 viene pubblicato in Italia “L’archivio Mitrokhin”, un libro scritto dallo storico inglese Christopher Andrew. Il libro parla di un archivista del Kgb, Vassili Mitrokhin, che negli anni ’80 avrebbe copiato numerosi documenti segreti sull’attività svolta all’estero dall’ex servizio segreto sovietico, poi venduti agli inglesi. Secondo il libro, dai documenti emergerebbe che numerose spie agivano al soldo del Kgb informandolo su varie attività svolte nei propri paesi. In Italia, questo ruolo sarebbe stato svolto prevalentemente da funzionari del Pci, soprattutto negli anni ’70 e ‘80.
Lo scandalo scoppia nell’ottobre 1999, quando da più parti si chiede che i nomi italiani della “lista Mitrokhin” vengano resi pubblici. Capo del Governo è Massimo D’Alema, al quale viene chiesto di fare piena luce sulla vicenda. Questi parla di strumentalizzazione politica e invoca il segreto istruttorio, poiché nel frattempo il dossier è stato consegnato ai magistrati della Procura di Roma. Il centrodestra fa pressione su D’Alema accusandolo di voler nascondere i nomi.
Alla fine D’Alema cede e l’11 ottobre consegna il dossier alla Commissione Stragi, la quale decide all’unanimità di renderlo pubblico dopo aver chiesto e ottenuto il nulla osta della Procura di Roma. Alla fine, la lista viene pubblicata dai giornali, ma parzialmente.
Lo stesso 11 ottobre il quotidiano “La Repubblica” pubblica in prima pagina una vignetta di Forattini. La vignetta ritrae Massimo D’Alema seduto alla scrivania, con alle spalle un ritratto di Marx, intento a usare il “bianchetto” su un lungo rotolo di carta. Dall’esterno qualcuno bussa alla porta chiedendo “Allora, arriva ‘sta lista?”, e D’Alema, imbarazzato e affaticato, risponde “Un momento! Non s’è ancora asciugato il bianchetto!”.
Massimo D’Alema giudica la vignetta gravemente lesiva della sua reputazione e cita in giudizio Forattini dinanzi al Tribunale di Roma, chiedendo un risarcimento di 3 miliardi di (vecchie) lire. Ma nel 2001 D’Alema rinuncia alla domanda. La rinuncia viene accettata da Forattini.
La vignetta rientra nel diritto di satira, se si considera la dimensione pubblica di Massimo D’Alema all’epoca dei fatti. Da più parti D’Alema, allora capo del Governo, subiva pressioni perché rendesse pubblica la lista dei nomi contenuti nel dossier Mitrokhin. Ragioni di opportunità politica lo indussero a ritardare il più possibile quel momento. Ragioni determinate soprattutto dal fatto che tra i nomi della lista comparivano quelli di leader di forze politiche facenti parte della compagine governativa.
La raffigurazione di D’Alema intento a temporeggiare mentre “sbianchetta” alcuni nomi dalla lista costituisce un ottimo esempio di come la satira può legittimamente storpiare i fatti. Se D’Alema capo del Governo ha seri motivi politici per impedire la pubblicazione della lista Mitrokhin, ecco che nella vignetta, sollecitato da chi bussa alla porta chiedendogli la lista, arriva paradossalmente ad adoperare il più grezzo e maldestro dei metodi, pur di evitare che elementi del proprio governo finiscano nel fuoco delle polemiche. La naturale ritrosia manifestata da D’Alema capo del Governo a rendere pubblica la lista, nel tentativo di impedire che alcuni di quei nomi cadano in pasto all’opinione pubblica, viene nella vignetta di Forattini storpiata con il ricorso all’uso del bianchetto.
E’ agevole notare, quindi, come il messaggio contenuto nella vignetta di Forattini sia in stretta coerenza causale con la dimensione pubblica di D’Alema così come arricchitasi per effetto dello scandalo Mitrokhin. D’Alema era da più parti accusato di non voler pubblicare la lista solo perché preoccupato dalla presenza in essa dei nomi di alcuni aderenti al vecchio Pci. Se è indiscutibile, quindi, che D’Alema abbia mai materialmente usato il bianchetto per occultare alcuni nomi scomodi che figuravano nella lista, tale raffigurazione rappresenta, in termini satirici, la resistenza di D’Alema nel rendere pubblica l’intera lista solo perché preoccupato di nascondere alcuni di quei nomi. Resistenza che, manifestata pubblicamente e a più riprese, ha contribuito a specificare in quel determinato contesto la sua dimensione pubblica.
Sensata, quindi, la decisione di Massimo D’Alema di rinunciare agli atti del giudizio, soprattutto considerando che con ogni probabilità il Tribunale di Roma avrebbe respinto la sua richiesta di risarcimento, riconoscendo il diritto di satira.