Il passo falso di 'Chi l'ha visto'
L’8 novembre 2004 la trasmissione di Rai3 “Chi l’ha visto” si occupa del caso di un cittadino danese scomparso, i cui familiari hanno motivo di ritenere che si trovi in Italia. Dopo alcune ricerche, la redazione ha individuato un uomo che corrisponde alle sue caratteristiche.
Durante la trasmissione viene mandato un video. Si vede l’uomo (che evidentemente non versa in condizioni psico fisiche ottimali) inseguito dalla troupe, che lo inquadra ripetutamente, anche con insistenti primi piani. Alcune riprese vengono effettuate da lontano, quindi (presumibilmente) all’insaputa del soggetto. Un intervistatore si avvicina e prova a fargli qualche domanda, ma l’uomo sembra non gradire affatto.
Sulla questione interviene d’ufficio il Garante per la Protezione dei Dati Personali. Rilevato che “il servizio risulta aver violato i limiti del diritto di cronaca facendo una spettacolarizzazione del caso e violando i diritti fondamentali e la dignità dell’interessato” e che “vi è il concreto rischio di un pregiudizio rilevante per l’interessato anche in relazione ad una possibile diffusione in tempi ravvicinati dei medesimi dati o di informazioni analoghe”, il Garante dispone “nei confronti di Rai S.p.a. e del direttore responsabile di Rai3, nella rispettiva qualità di titolare e di responsabile del trattamento dei dati, il blocco del trattamento dei dati di cui in motivazione”.
I casi affrontati dalla trasmissione “Chi l’ha visto” hanno un’indubbia utilità sociale. La denuncia della scomparsa di una persona è nella trasmissione sempre accompagnata dalla diffusione delle generalità e dell’immagine. Il tutto avviene nel rispetto di quanto prescrive l’art. 8, comma 1°, codice di deontologia, che in generale vieta al giornalista la pubblicazione di immagini “a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine”. Qui la rilevanza sociale è data dall’insostituibile apporto che la collettività stessa può fornire al ritrovamento della persona, una volta acquisite le fattezze fisiche.
Tuttavia, nel caso in commento i limiti del diritto di cronaca sono stati superati. Lo scopo della trasmissione è fornire alla collettività il maggior numero di informazioni, in modo da rendere possibile il ritrovamento della persona. Ma, una volta che questa viene individuata, lo scopo della trasmissione cessa. E viene meno l’interesse pubblico alla diffusione di ulteriori immagini di quella persona. A maggior ragione se, nel caso in commento, ad essere insistentemente ripresa fosse stata una persona erroneamente scambiata per il cittadino danese scomparso.
Giustamente il Garante parla di “spettacolarizzazione del caso”, proprio per sottolineare l’assoluta inutilità di una ulteriore diffusione delle immagini e l’insistenza nel cogliere e sollecitare le reazioni del soggetto. Un comportamento che pare diretto a soddisfare soltanto la curiosità morbosa di una certo pubblico, cosa ben diversa dall’utilità sociale su cui deve basarsi ogni ipotesi di diffusione di dati personali.