I TELEGIORNALI
I telegiornali costituiscono la forma più esemplare di cronaca. Hanno la funzione di fornire le notizie in tempo pressoché reale. Seguono immediatamente il fatto, o comunque il contatto tra la fonte rivelatrice e il mezzo di comunicazione. Sono l’anello di congiunzione tra il fatto, così come si realizza nella realtà fenomenica, e la collettività. Fatto che, successivamente, se di rilevante interesse pubblico, confluirà nei programmi di approfondimento informativo.
La notizia diffusa da un telegiornale segna il primo approccio del pubblico al fatto che l’ha generata. Di conseguenza, qui le regole vigenti in materia di diritto di cronaca vanno applicate in maniera rigorosa. Scontata la doverosa osservanza dei requisiti della verità e dell’interesse pubblico, assume grande importanza pratica il requisito della continenza formale, che va inteso in senso rigido.
Un parallelo con la cronaca della carta stampata aiuterà a cogliere la problematica. I titoli di apertura di un Tg sono equiparabili ai titoli di un quotidiano. L’introduzione della notizia da parte del giornalista conduttore va assimilata ad un “catenaccio” o ad un “occhiello”. E il servizio dell’inviato è l’articolo scritto attraverso cui si espone dettagliatamente il fatto.
La circostanza che il mezzo televisivo è il tramite tra la fonte e il telespettatore deve essere tenuta nella massima considerazione. Non si deve mai eccedere lo scopo informativo. Non vi è spazio per il linguaggio colorito, incauto, né per il giornalista conduttore che introduce la notizia, né per l’inviato. Così come va accuratamente evitato qualsiasi artificio tendente a condizionare il telespettatore. Ciò anche in considerazione della tecnica di montaggio.
Come i programmi di approfondimento informativo, anche i telegiornali sono stati interessati da un processo normativo che ne ha limitato la funzione informativa. Qui il fenomeno risulta più grave. La L. n. 28/2000 ha imposto ai Tg, come a tutti i programmi di informazione, limitazioni soltanto in periodo di campagna elettorale, vietando “indicazioni di voto” o “preferenze di voto”, e sottolineando la necessità di una conduzione imparziale in modo “da non esercitare, anche in forma surrettizia, influenza sulle libere scelte degli elettori” (art. 5). Ma, soprattutto, ha chiaramente specificato che le norme sulla comunicazione politica (ossia quelle sulla par condicio, vigenti anche in periodo non elettorale) “non si applicano alla diffusione di notizie nei programmi di informazione” (art. 2, comma 2°). Ebbene, quest’ultima norma è stata completamente disattesa dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza e, a seguire, dall’Authority.
Infatti, con Provvedimento 11 marzo 2003 la Commissione Parlamentare di Vigilanza ha stabilito che “Tutte le trasmissioni di informazione – dai telegiornali ai programmi di approfondimento – devono rispettare rigorosamente, con la completezza dell’informazione, la pluralità dei punti di vista e la necessità del contraddittorio”. In pratica, si impone il rispetto della par condicio anche nei Tg, sempre e comunque, nonostante – giova ripeterlo l’art. 2, comma 2°, L. n. 28/2000 vieti espressamente l’applicazione delle regole della comunicazione politica “alla diffusione di notizie nei programmi di informazione”. Qui una commissione parlamentare, che tecnicamente è un organo amministrativo, ha emanato un atto in contrasto con una norma di legge.
I telegiornali, in modo particolare quelli Rai, sono soliti fornire le notizie confezionando servizi che riportano i commenti dei politici, ordinati in modo da rappresentare equamente le varie forze politiche. Nel tempo hanno prevalso le figure del “bidone” e del “panino”. Con il metodo del bidone, si mandano in onda due servizi della stessa durata, ciascuno dei quali riporta in rapida successione i commenti dei politici appartenenti ad uno dei due poli. Con il metodo del panino, nato e radicatosi con il secondo governo Berlusconi, il servizio è unico, ma le dichiarazioni dell’opposizione vengono sempre inserite tra quelle di membri del Governo e quelle di politici comunque appartenenti alla maggioranza, come se fossero il companatico.
L’applicazione della par condicio ai telegiornali porta a risultati analoghi a quelli visti per i programmi di approfondimento informativo. Lì il continuo alternarsi delle posizioni più disparate rende impossibile al telespettatore l’analisi del fatto, impedendo l’approfondimento. Nei telegiornali, la rapida successione dei commenti lapidari di politici di diverso schieramento rende impossibile la rappresentazione obiettiva del fatto, impedendo la stessa acquisizione della notizia. Anche qui l’obiettività dell’informazione cede il passo all’esigenza del contraddittorio, in nome di un pluralismo politico il cui significato viene, come nei programmi di approfondimento informativo, completamente frainteso.
Se infatti il pluralismo politico, correttamente inteso, vuole che il sistema radiotelevisivo testimoni e illustri le diverse realtà politiche operanti nel paese, qui accade paradossalmente che l’attuazione del pluralismo, erroneamente inteso, va a scapito della verità. Questa non ha alcuna possibilità di emergere se l’informazione viene forzatamente basata non sul fatto obiettivo, ma sulle opposte interpretazioni che di esso forniscono parti portatrici di interessi contrapposti. E’ come pensare di fare emergere la verità in un processo basandosi esclusivamente sulle dichiarazioni degli avvocati delle parti, anziché sulle prove.
In un meccanismo analogo a quello operante nei programmi di approfondimento informativo, l’applicazione della par condicio ai telegiornali impone al telespettatore l’acquisizione non della verità di un fatto, ma di tante “verità” quante sono le dichiarazioni dei soggetti politici che confluiscono nel servizio. Qui però le diverse “verità” vengono comunicate nel momento in cui sorge il fatto, che in tal modo non può mai essere dal telespettatore colto nella sua originalità. Si assiste, cioè, ad una forma di comunicazione politica applicata già al momento dell’acquisizione della notizia, dove i soggetti politici perseguono un interesse incompatibile con quello del telespettatore, unicamente interessato ad apprendere il fatto nella sua unicità, obiettività e completezza.
Inoltre, il contraddittorio è fasullo. In primo luogo, perché ad esso non partecipa il giornalista, come richiederebbe una corretta informazione, ma solo i soggetti politici. In secondo luogo, perché avviene in differenti contesti spaziali e temporali: i politici nemmeno interagiscono tra loro. Il risultato è la sommatoria di più messaggi politici autogestiti.
Tra l’altro, è noto come nelle varie reti che trasmettono quotidianamente Tg il rispetto della par condicio non è mai garantito. Vi è spesso la prevalenza di una “verità” rispetto alle altre. In alcuni casi la violazione è palese. Si pensi al Tg4, dove la superiorità dei tempi di antenna e di parola dedicati a Forza Italia e a Silvio Berlusconi sono imbarazzanti per una democrazia. Qui l’assoluta preponderanza delle dichiarazioni di una determinata forza politica avvicinano il Tg4 al modello dei telegiornali di regime, dove la conduzione è sostanzialmente assimilabile ad un messaggio autogestito proveniente dall’unico soggetto politico ammesso nell’ordinamento.
Per le emittenti private, l’Authority, con Delibera n. 22/06 ha sostanzialmente fatto proprie le prescrizioni contenute per la Rai nel già visto provvedimento della Commissione di Vigilanza, riproducendole fedelmente all’art. 2. E anche qui ha riprodotto anche la formula contenuta in ogni sua precedente delibera emanata in materia di informazione, quella secondo cui “Resta salva per l’emittente la libertà di commento e di critica che, in chiara distinzione tra informazione e opinione, salvaguardi comunque il rispetto delle persone”.
Come già spiegato in I programmi di approfondimento informativo, cui si rimanda per la problematica, non vi è motivo di negare la libertà di critica al giornalista dell’emittente privata, come non la si può negare al giornalista Rai. Tuttavia, va precisato quanto segue. La critica potrà essere legittimamente esercitata soltanto in forma separata dalla cronaca. Quindi, non potrà provenire né dal giornalista conduttore, né dall’inviato, né dalla voce fuori campo che accompagna il servizio. Potrà essere esercitata soltanto da chi è fisicamente, visivamente separato dal complesso di volti, voci e immagini attraverso cui il telespettatore ha acquisito il fatto notizia. Proprio come accade nella carta stampata, dove la critica appare su un editoriale, ben separato, anche graficamente, dall’articolo di cronaca.
Ne deriva che la critica esercitata dal conduttore di un telegiornale è illegittima per violazione del requisito della continenza formale, poiché il conduttore di un Tg fa solo cronaca. A maggior ragione quando accompagna la diffusione di una notizia, o la segue immediatamente, poiché ciò va a scapito dell’obiettività della notizia, determinando sostanzialmente una fusione tra cronaca e critica. Un esempio emblematico e piuttosto ricorrente è dato dal Tg4, quando è condotto da Emilio Fede: ormai un preciso stile del giornalista, che in non pochi casi fuoriesce dai binari della legalità, quando la violazione della continenza formale spiega i suoi effetti su un soggetto determinato.
Quanto alla validità delle prescrizioni emanate dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza e dall’Authority che espressamente impongono la par condicio anche ai telegiornali, si è già detto che sono in palese contrasto con l’art. 2, comma 2°, L. n. 28/2000, laddove chiarisce che le norme sulla comunicazione politica “non si applicano alla diffusione di notizie nei programmi di informazione”. Con la conseguenza che possono essere impugnate davanti al Tar per essere annullate nel caso di sanzioni comminate sulla base della loro violazione, oppure semplicemente “disapplicate” dal giudice ordinario competente.
Tra l’altro, non sembra che i provvedimenti della Commissione Parlamentare di Vigilanza e dell’Authority possano essere considerati “salvati” dai successivi interventi legislativi: l’art. 6, comma 1° lett. c), L. n. 112/2004 (“legge Gasparri”) e l’art. 7, comma 2° lett. c), D.Lgs. n. 177/2005 (“Testo Unico sulla radiotelevisione”), secondo cui “La disciplina dell’informazione radiotelevisiva, comunque, garantisce […] l’accesso di tutti i soggetti politici alle trasmissioni di informazione e di propaganda elettorale e politica in condizioni di parità di trattamento e di imparzialità”.
Si è gia detto come queste due norme di legge siano in forte odore di incostituzionalità per contrasto con l’art. 21 Cost. Ma, in aggiunta, la loro formulazione è troppo generica per poter includere nelle “trasmissioni di informazione” anche i telegiornali, che invece sono espressamente menzionati nei provvedimenti della Commissione Parlamentare di Vigilanza e dell’Authority. Di conseguenza, se una lettura costituzionalmente orientata delle due norme di legge porta ad escludere qualsiasi limitazione del diritto di cronaca nei programmi di approfondimento informativo, a maggior ragione ciò deve valere per i telegiornali, dove il telespettatore deve poter acquisire la notizia nella sua originalità.