Il 'caso Feltri'
Il 29 settembre 2000 il quotidiano “Libero” pubblica alcune immagini tratte da un sito internet e da un video sequestrato dalla magistratura nell’ambito di un’indagine su un giro di pedofilia che vede protagonisti italiani e russi. Si tratta di immagini piuttosto crude, alcune delle quali documentano un’efferata violenza su bambini.
La pubblicazione è accompagnata da un articolo a firma Vittorio Feltri, direttore di “Libero”. L’articolo indica i motivi per i quali si è deciso di pubblicare quelle immagini shock, ma è anche un duro atto di accusa nei confronti di chi precedentemente ha deciso di colpire giornalisti come Gad Lerner (Tg1) e Rizzo Nervo (Tg3) per aver deciso di mandare in onda sui rispettivi Tg immagini dello stesso tenore.
Lo stesso giorno il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia comunica a Vittorio Feltri l’avvio di un procedimento disciplinare per violazione della Carta dei Doveri nonché dell’art. 15 L. n. 47/1948, che vieta la pubblicazione di immagini raccapriccianti.
Il Consiglio Regionale, ritenuto che Feltri ha operato “al di fuori del dettato costituzionale e delle norme deontologiche della professione giornalistica”, applica la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo dei giornalisti, avendo con la sua condotta “gravemente compromesso la dignità professionale fino a rendere incompatibile con la dignità stessa la sua permanenza nell’albo”.
Sanzione convertita in censura dal Consiglio Nazionale con delibera 4 febbraio 2003
Non c’è dubbio che, con la pubblicazione in questione, Feltri abbia attuato un’iniziativa volutamente provocatoria, essendo certamente consapevole delle conseguenze disciplinari cui poteva andare incontro. Lo stesso Feltri aveva dichiarato, nell’articolo che ha accompagnato la pubblicazione delle immagini incriminate, di voler “smuovere le coscienze” su un problema estremamente grave e attuale, quale quello della pedofilia.
L’iniziativa costituisce certamente una violazione del divieto di pubblicare immagini raccapriccianti, stabilito dall’art. 15 L. n. 47/1948, nonché dalla stessa Carta dei Doveri. Ciò in quanto all’iniziativa non può darsi valore informativo. Perlomeno, non quel valore informativo che ricondurrebbe la pubblicazione nell’ambito del diritto di cronaca, secondo quanto già detto.
La pubblicazione di quelle immagini, infatti, non fornisce di per sé una notizia non altrimenti divulgabile. “Libero” disponeva di tutti gli elementi per poter assicurare ai suoi lettori un’informazione dettagliata su quell’inchiesta giudiziaria. In altre parole, quelle immagini non rappresentavano di certo l’unica fonte da cui ricavare la notizia. Solo in questo caso la pubblicazione avrebbe potuto essere ritenuta legittima, proprio perché avrebbe costituito l’unico strumento per informare la collettività.
Tuttavia, va tenuto conto di un aspetto fondamentale, peraltro già affrontato. L’applicazione della norma che vieta la pubblicazione di immagini raccapriccianti porta sempre ad un risultato contraddittorio. Si censura un comportamento che può turbare chi apprende la notizia, ma che per il giornalista costituisce la forma più esemplare di adempimento del dovere di verità, che è il caposaldo del diritto di cronaca.
Detto ciò, è chiaro che qui la sanzione massima, ossia la radiazione, non solo appare eccessiva. E’ logicamente inapplicabile ad un comportamento che, se da un lato ha violato una precisa disposizione di legge, dall’altro ha pienamente rispettato il dovere più pregnante del giornalista. La condotta di Feltri può aver provocato turbamento in più di un lettore. Ma non può aver pregiudicato la sua autonomia, il prestigio della categoria, la fiducia dei cittadini nella stampa, che sono i valori primari cui deve ispirarsi l’attività giornalistica.
Tra l’altro, a comminare la sanzione della radiazione dall’albo a Feltri è stato quello stesso Consiglio Regionale che qualche anno più tardi si sarebbe limitato a sospendere Renato Farina, reo confesso di totale asservimento ai servizi segreti e divulgatore di notizie false sulla base delle “veline” del Sismi, il tutto in esecuzione di un rapporto lavorativo di fatto. Un comportamento, questo sì, in spregio ai valori più alti che devono guidare il giornalista nella sua attività, come spiegato in Renato Farina, uomo del Sismi. Di fronte ad una condotta simile, il comportamento di Vittorio Feltri, pur se grave, francamente fa pensare ad una ragazzata.