Le indiscrezioni di un carabiniere

Nel corso di una conferenza stampa indetta dai Carabinieri, questi informano che A.M. è indagato per il reato di truffa. La notizia è riportata su un quotidiano di Roma, insieme però alla falsa notizia che nella sua abitazione sono stati rinvenuti “reperti archeologici sospetti”.

A.M. querela articolista e direttore per diffamazione. Questi sostengono e dimostrano che la notizia del rinvenimento dei reperti archeologici sospetti era stata fornita da un Carabiniere in un momento immediatamente successivo alla conferenza stampa, ossia in occasione dei vari “capannelli” che si erano formati per ottenere ulteriori informazioni. Gli imputati vengono condannati per diffamazione sia in Tribunale che in Corte d’Appello. Ricorrono in Cassazione.

La Corte di Cassazione conferma la condanna. Secondo la Suprema Corte, una volta terminata la conferenza stampa, nessuno avrebbe più potuto essere considerato fonte ufficiale da cui attingere ulteriori notizie. Quello che viene riferito “privatamente” o in forma di “confidenze” dopo la chiusura di una conferenza stampa “non può avere l’attendibilità dell’informazione ufficiale”: pertanto deve essere “direttamente verificato dal giornalista”. Ciò che di non vero il Carabiniere in questione ha riferito è e rimane frutto di “ricostruzioni o ipotesi giornalistiche tendenti ad affiancare o a sostituire gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti”. Il giornalista non può invocare la verità putativa.

(Cass. 19 novembre 2001, n. 41135)
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La sentenza fornisce un’interpretazione discutibile del concetto di verità putativa, quasi nel tentativo di nascondere un madornale errore attribuibile esclusivamente all’organo statale.

La Suprema Corte motiva la propria decisione facendo leva sul concetto di fonte ufficiale, ossia l’unico tipo di fonte da cui apprendere notizie “certe”. E cita un precedente giudiziario di condanna di un giornalista per aver pubblicato una notizia, in seguito rivelatasi falsa, fornitagli da un funzionario di Polizia “violando l’obbligo istituzionale della riservatezza”.

Che non debba essere pubblicata una notizia potenzialmente diffamatoria, fornita da un funzionario di Polizia al di fuori di qualsiasi contesto di ufficialità, senza prima averne con cura verificato la fondatezza, è un’affermazione senz’altro da condividere. Ma si tratta di una fattispecie lontana anni luce da quella che qui si commenta.

Risulta prassi consolidata fornire ulteriori informazioni ai giornalisti nell’immediatezza di una conferenza stampa. E’ una prassi adottata soprattutto in occasione delle conferenze stampa indette dalle Forze dell’Ordine, nelle quali, a seguito della netta prevalenza dell’aspetto narrativo su quello dialettico, spesso i giornalisti si vedono costretti a posticipare il confronto diretto con la fonte. Era lecito attendersi che i Carabinieri presenti attivamente a quella conferenza stampa conoscessero in egual misura i risultati dell’indagine. Di conseguenza, non si capisce per quale motivo la Suprema Corte abbia disgiunto dalle altre affermazioni quelle del singolo Carabiniere, attribuendone a priori minore credibilità di quelle rese pochi minuti prima agli stessi giornalisti.

L’errore della sentenza in commento deriva proprio dall’aver scorto una soluzione di continuità tra quanto rivelato dalla fonte informativa considerata nel suo complesso durante la conferenza stampa, e quanto dichiarato immediatamente dopo da ciascun suo elemento. Ha considerato ciascun Carabiniere una fonte a sé stante, equiparandolo addirittura al funzionario che fornisce informazioni violando l’obbligo del segreto.

In realtà, il gruppo dei carabinieri, nel consentire il formarsi dei “capannelli”, ha reso possibile il confronto diretto con i giornalisti. Ha risposto alle loro domande e fornito nel minor tempo possibile quella quantità di informazioni che non poteva essere veicolata durante la fase narrativa della conferenza stampa. Un protrarsi della conferenza stampa funzionale al diritto di cronaca, quindi. Soltanto al di fuori di questo contesto l’informazione fornita da un singolo carabiniere avrebbe potuto essere considerata proveniente da fonte autonoma, non più ufficiale perché non più relazionabile all’evento conferenza stampa.