Le scappatelle della moglie di un noto calciatore
Sul “Giornale di Napoli” del 22.12.90 appare un articolo a firma E.N. intitolato “La moglie di M. innamorata di C.”, che attribuisce a C.V., moglie del famoso calciatore, una relazione extraconiugale con G.C., amico dello stesso.
C.V. querela E.N., affermando che l’articolo lede la sua reputazione. Il Tribunale di Napoli condanna E.N. per diffamazione, sentenza che viene confermata in appello. Così, E.N. ricorre per cassazione.
La Suprema Corte rigetta il ricorso confermando la sentenza di condanna. Nella sentenza la Corte pone l’accento non tanto sulla indimostrata verità dei fatti, quanto sulla inesistenza di un interesse pubblico alla loro diffusione e sulla violazione del diritto alla riservatezza. Afferma, infatti, che il diritto di cronaca “giustifica intromissioni nella sfera privata solo quando possano contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività” e che “le vicende private di persone impegnate nella vita politica o sociale” vanno considerate di interesse pubblico soltanto “quando possano da esse desumersi elementi di valutazione sulla personalità o sulla moralità di chi debba godere della fiducia dei cittadini”.
La decisione è ineccepibile. Ritenere legittima la diffusione della notizia relativa alla tresca extraconiugale della moglie di un noto personaggio, significherebbe avallare l’esistenza nel nostro ordinamento di un diritto illimitato della collettività alla curiosità morbosa. Ed è proprio quello che si vuole evitare attraverso il ricorso al concetto di interesse pubblico alla notizia.
E’ certo che nessun pregiudizio deriverebbe alla collettività nascondendo la notizia secondo cui la moglie di M. ha un amante. Non essendoci alcuna utilità sociale alla diffusione della notizia, prevale il diritto di C.V. alla riservatezza.
In questo caso, poi, la persona lesa non è nemmeno un personaggio pubblico. La notorietà di C.V., infatti, è indiretta, perché deriva interamente dall’essere la moglie di M. Ci si chiede, però, quale avrebbe potuto essere la soluzione se il protagonista dei fatti riportati nell’articolo fosse stato lo stesso M., anziché la moglie.
Non c’è dubbio che la notorietà di M. fosse tale da indurre il pubblico ad attribuire importanza ad aspetti intimi della sua vita privata. Ma il diritto alla riservatezza deve ritenersi operante anche per il personaggio pubblico, quando il fatto privato non ha alcuna incidenza sull’attività che lo lega al pubblico. In questo caso, il fatto che il calciatore M. avesse un’amante non avrebbe mai potuto incidere sulle sue prestazioni da calciatore, ossia sul legame che lo lega al pubblico. Diverso è il caso del noto calciatore visto mentre assume droga, poiché l’assunzione di droga, anche se saltuaria, mal si concilia con la massima e costante prestanza fisica richiesta a un calciatore professionista; diversamente da quanto accade, ad esempio, per una modella.
La valutazione circa l’incidenza del fatto privato sul legame tra personaggio e pubblico va quindi espressa secondo parametri oggettivi. Ed è proprio il contrario di quanto sembra aver fatto la Suprema Corte nel caso in questione, quando afferma che “le vicende private di persone impegnate nella vita politica o sociale” vanno considerate di interesse pubblico soltanto “quando possano da esse desumersi elementi di valutazione sulla personalità o sulla moralità di chi debba godere della fiducia dei cittadini”. Il criterio è vago e soggettivistico, poiché su queste basi qualsiasi fatto potrebbe fornire “elementi di valutazione” della personalità. Ancor meno accettabile è il riferimento alla “moralità”, perché al contrario finisce per rendere rilevanti proprio quei particolari che il ricorso al concetto di interesse pubblico vuole tenere lontani dalla curiosità morbosa dei più. In poche parole, la Corte di Cassazione arriva alla giusta decisione, ma con una motivazione che lascia perplessi, poiché rischia di aprire la strada a pronunce basate su un criterio soggettivo di valutazione del fatto privato.