Il 'caso Cannavaro'
Il 26 aprile 2005 Giovanni Masotti, ideatore e conduttore di “Punto e a capo”, trasmissione in onda il giovedì sera su RAI 2, comunica alla stampa che nel corso della puntata seguente, dedicata al tema del doping, manderà in onda un video amatoriale che mostra “un difensore over 30, che gioca in una importante squadra del nord Italia ed è un pilastro della Nazionale” mentre assume una sostanza per via endovenosa.
Tutti capiscono che il calciatore in questione è Fabio Cannavaro. Tant’è che questi, il 28 aprile, poche ore prima dell’inizio della trasmissione, invia via fax alla Rai “formale diffida dal mostrare dette immagini trattandosi di dati sensibili attinenti la mia salute”.
Giovanni Masotti non cede, appellandosi al diritto di cronaca. La trasmissione ha inizio alle ore 21. Viene mandato in onda un video girato in un albergo di Mosca nel maggio 1999 alla vigilia della finale di coppa Uefa tra Parma e Olympique Marsiglia. Il filmato mostra il calciatore Fabio Cannavaro, all’epoca difensore del Parma, con tanto di staff medico mentre assume per endovena una sostanza denominata “Neoton”.
In realtà, il filmato non aggiunge nulla a quanto già di dominio pubblico sull’uso di coadiuvanti tra i calciatori. Dopo aver ripreso i preparativi della flebo, la telecamera insiste in un imbarazzante primo piano del viso di Cannavaro, che ostenta il massimo piacere nel momento in cui la sostanza incomincia ad entrargli “in circolo”, senza lesinare battute ironiche sui suoi effetti e su una triste prematura sorte. La visione del filmato, in prima serata su Rai 2, consegna al pubblico un Cannavaro nella inequivocabile versione del “tossico”. Giovanni Masotti, ideatore e conduttore del programma, ci mette del suo inserendo in fase di montaggio un sottofondo musicale che, almeno nelle sue intenzioni, dovrebbe connotare di drammaticità il filmato. Masotti sarà aspramente criticato persino da Radio Vaticana.
Mostrare a qualche milione di persone un famoso calciatore mentre assume una sostanza per via endovenosa, all’interno di una trasmissione che si prefigge di informare il pubblico sulla spinosa questione del doping, è una estrema rappresentazione del conflitto tra interesse pubblico e diritto alla riservatezza. La soluzione giuridica deve stabilire a quali di essi va data prevalenza. Ossia, se debba prevalere l’interesse della collettività a vedere Cannavaro che si pratica l’endovena, o il diritto di Cannavaro a non vedere dati in pasto al pubblico momenti incontestabilmente privati della sua vita.
Qui va fatta una premessa. Giuridicamente la questione del doping è stata affrontata in Italia con l’emanazione di due leggi: la L. n. 522/1995, esecutiva della Convenzione di Strasburgo del 1989, e la L. n. 376/2000. Quest’ultima ha definito doping l’assunzione di sostanze e di farmaci o la sottoposizione a pratiche mediche, non giustificate da patologie in corso, “al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti” (art. 1, comma 2°). Un’apposita tabella, periodicamente aggiornata con decreto del ministro della Sanità, indica quali sono le sostanze da considerare “dopanti”, quindi proibite.
Ebbene, tutto dipende dal valore che va dato al Neoton, composto a base di creatina, iniettato nel braccio di Cannavaro. Se il Neoton è dopante, allora la sussistenza dell’interesse pubblico è incontestabile, perché il filmato proverebbe l’uso disinvolto di sostanze proibite da parte di una società ai vertici del calcio mondiale (era la vigilia della finale di coppa Uefa). Se non lo è, allora la messa in onda del filmato apparirebbe particolarmente odiosa, poiché avrebbe violato la riservatezza di Cannavaro insinuando tra l’altro nel pubblico il dubbio sulla genuinità delle sue prestazioni calcistiche.
Il Neoton è un composto inizialmente messo in commercio come cardiotonico. Non è mai comparso tra le sostanze dopanti. Tuttavia, alcuni medici sportivi avrebbero rinvenuto in esso alcune proprietà di rigenerazione muscolare. Sarebbe particolarmente indicato nei periodi che precedono momenti agonistici intensi, come quelli che caratterizzano una finale di Coppa. Si tratterebbe, quindi, di uso improprio di farmaco, ossia per fini diversi da quelli per i quali risulta indicato. Ma nessun medico, benché esperto, si sente di affermare che l’assunzione anche “impropria” del Neoton può in qualche modo alterare le prestazioni agonistiche, così da poter rientrare nella definizione di doping.
A maggior ragione un Masotti, che non risulta avere competenze mediche. La visione del filmato prova unicamente che Cannavaro faceva uso del Neoton, la cui assunzione non è vietata. Di conseguenza, non si vede dove possa essere l’interesse pubblico che giustifica la messa in onda del filmato contro la volontà dello stesso Cannavaro.
Tra l’altro, il filmato mostra Cannavaro mentre si sottopone ad un trattamento che è difficile non ricondurre al genere medico. Il diritto alla riservatezza assume qui un valore tutto particolare. Si deve tener presente, infatti, che l’art. 4 D.Lgs. n. 196/2003 (“Codice in materia di protezione dei dati personali”) attribuisce la natura di “dati sensibili” anche a quei “dati personali idonei a rivelare lo stato di salute […]” di un individuo. Ora, se da un lato alcuni potrebbero sostenere che l’uso del Neoton non rivela di per sé uno “stato di salute”, dall’altro si potrebbe obiettare che lo “stato di salute” di cui parla l’art. 4 D.Lgs. n. 196/2003 non si riferisce necessariamente ad una patologia esistente, ma in generale a tutto ciò che un individuo assume per effetto di trattamenti riconducibili al genere medico.
E la diffusione dei dati sensibili riguardanti Cannavaro non è in questo caso giustificata dall’esercizio della professione giornalistica, che di per sé dispenserebbe il giornalista dall’ottenere il consenso della persona interessata. La diffusione e la comunicazione di dati personali nell’esercizio della professione giornalistica, per poter prescindere dal consenso dell’interessato, deve rispettare il requisito della “essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico”. E’ l’art. 137, comma 3°, D.Lgs. n. 196/2003 a stabilirlo. Requisito che, come già visto, difetta nel caso in questione.
Vi è anche la violazione dell’art. 6, comma 2°, del codice di deontologia dei giornalisti, secondo cui “La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica”. Il “Neoton” è una sostanza lecita, la cui assunzione da parte di Cannavaro non può aver alcuna incidenza sul suo ruolo pubblico. Di conseguenza, quanto accaduto doveva rimanere confinato nella sfera privata del calciatore.
Inoltre, l’art. 2 D.Lgs. n. 196/2003 impone che il trattamento (quindi la diffusione) dei dati personali debba svolgersi “nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza […]”. Oltre alla riservatezza, la messa in onda del filmato lede gravemente proprio la dignità di Cannavaro, a causa del benessere ostentato dal calciatore nel momento in cui il Neoton incomincia a scorrere nell’organismo. Poco importa se l’ostentazione rientri in un atteggiamento palesemente ironico.
Un ultimo particolare, non secondario, che aggrava il danno subìto dal calciatore. Il filmato viene trasmesso con un sottofondo musicale che vorrebbe conferire alla vicenda un tono drammatico. Qui vi è una palese violazione del requisito della continenza formale. Attraverso la colonna sonora si vuole comunicare al telespettatore una drammaticità di cui il fatto originale non è minimamente dotato, data la natura lecita della sostanza assunta da Cannavaro. Il telespettatore è indotto a credere che in quella camera d’albergo si stia combinando qualcosa di molto losco.
La divulgazione del filmato getta, così, un’ombra sulla genuinità delle performance del calciatore e consegna al pubblico lo stereotipo del tossicodipendente. E’ palese la violazione del diritto alla riservatezza del calciatore, non sussistendo alcun interesse pubblico alla messa in onda del filmato. E al danno per lesione del diritto alla riservatezza deve aggiungersi il danno morale insito in ogni illecito trattamento di dati personali, secondo quanto stabilito dall’art. 15, comma 2°, D.Lgs. n. 196/2003.