IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA
Il diritto alla riservatezza è una creazione della giurisprudenza, che lo ha collocato tra quei diritti inviolabili menzionati dall’art. 2 Cost. Ha la funzione di delimitare il concetto di interesse pubblico alla notizia, escludendo l’esistenza di un diritto della collettività a penetrare nella sfera privata di un individuo al solo scopo di soddisfare una curiosità morbosa.
In generale, un fatto deve ritenersi privato (e rimanere riservato) quando la sua diffusione non ha alcuna utilità sociale. Quando, cioè, la collettività non può obiettivamente ricavare dalla sua conoscenza alcuna utilità. In assenza di questa, la divulgazione di un fatto privato cessa di servire l’interesse pubblico; e il diritto del singolo individuo alla riservatezza non può essere sacrificato senza il suo consenso.
La questione della divulgabilità di un fatto appare semplice quando riguarda un soggetto anonimo. In questi casi la divulgazione è sempre occasionata da comportamenti eclatanti commessi dal soggetto stesso, per i quali non si può dubitare dell’interesse della collettività alla loro conoscenza. Non possono invocare il diritto alla riservatezza lo stupratore e l’omicida, il truffatore e il medico abusivo, così come l’anonimo funzionario arrestato per corruzione. Qui il soggetto è trascinato al centro della scena pubblica unicamente a causa della gravità o eccezionalità dell’azione.
Tuttavia, non ogni particolare in qualche modo ricollegabile ad un evento di interesse pubblico va considerato parte integrante di una “notizia”. E’ il cosiddetto principio di essenzialità dell’informazione, introdotto dall’art. 6, comma 1°, del codice di deontologia dei giornalisti, secondo cui “la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l’informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell’originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti”.
Come si nota agevolmente, la norma è così mal formulata da dar luogo ad una sorta di ossimoro. Intitolata “Essenzialità dell’informazione” all’evidente scopo di limitare la notizia al corpus dell’evento, in realtà consente tecniche di narrazione che finiscono per offuscare la regola dell’essenzialità. Qualsiasi “dettaglio” ricollegabile anche indirettamente al fatto “essenziale” può risultare “indispensabile” per garantire “l’originalità del fatto”, per meglio descrivere i “modi particolari in cui è avvenuto” o per la “qualificazione dei protagonisti”. Si pensi alla strage di Erba del dicembre 2006. Sono venuti alla luce particolari, come i precedenti penali e le frequentazioni del tunisino Azouz Marzouk (inizialmente sospettato della strage) e fatti privati, relativi a membri di entrambe le famiglie, che avevano ben poco a che vedere con il fatto nella sua “essenzialità”. Eppure nessuno potrebbe obiettare che la narrazione di quei “dettagli” non servisse ad una migliore comprensione della vicenda o a qualificarne i protagonisti, compreso lo stesso Azouz.
In quest’ottica, va avvalorata una interpretazione del principio di essenzialità che poggi sulla obiettiva gravità del fatto notizia. Il grado di eccezionalità dell’evento è responsabile del depotenziamento del principio di essenzialità dell’informazione. Quanto maggiore sarà la gravità del fatto di cronaca, tanto maggiore sarà la domanda informativa. E, di conseguenza, più ampia la libertà di azione dell’organo di informazione nel narrare particolari e fatti privati ricollegabili anche indirettamente all’evento o ai loro protagonisti. Se quindi potrà essere scandagliata la vita privata alla ricerca delle perversioni di chi ha ucciso e fatto a pezzi moglie e figli, non potrà citarsi l’abitudine del maldestro rapinatore tossicodipendente di prostituirsi per racimolare qualche euro.
La questione muta quando la notizia riguarda fatti o comportamenti che, anche se non eclatanti, riscuotono l’interesse del pubblico solo per essere riferiti ad un personaggio noto (qui a maggior ragione deve ritenersi sussistente l’interesse pubblico quando il fatto è eclatante). Non c’è dubbio che maggiore è la rilevanza pubblica di un personaggio, maggiore è l’attenzione che i mezzi di informazione, proprio interpretando i gusti della collettività, prestano ai fatti che lo riguardano. A molti piace conoscere nei dettagli i fatti privati di una star del cinema, di un noto politico, di un famoso manager, di un campione dello sport. Spesso vengono prontamente accontentati. E’ il caso del paparazzo che sorprende il vip mentre cena al ristorante in compagnia di persona diversa dal proprio partner.
E’ agevole capire che, nella normalità dei casi, simili accadimenti rientrerebbero nel concetto di “fatto privato”. Ancor più agevole capire che la loro divulgazione non potrebbe mai essere considerata utile alla collettività. Ma è anche vero che si tratta di personaggi che, in quanto noti, non possono vantare un diritto all’immagine, poiché “non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà […]” (art. 97 Legge sul diritto d’autore [n. 633/41]). E la circostanza che siano sorpresi in un ristorante, che è luogo pubblico, impedisce di considerare “fatto privato” quella cena (la problematica è approfondita in La cronaca scandalistica). Naturalmente sarebbe diverso se le immagini della “cena” fossero indebitamente tratte da un domicilio privato: qui scatterebbe addirittura il reato di cui all’art. 615 bis c.p. (“Interferenze illecite nella vita privata”).
Il caso del vip al ristorante rappresenta una situazione diametralmente opposta a quella del soggetto anonimo che compie un’azione eclatante, dove è l’azione a portare il soggetto sotto i riflettori. Qui, invece, è la notorietà del personaggio a colorare un fatto in sé insignificante. Il nostro ordinamento riconosce, entro certi limiti, il diritto al pettegolezzo.
La questione si complica se dal pettegolezzo si passa a fatti privati drammatici, la cui divulgazione rischia di rovinare l’immagine del personaggio pubblico. Di simili casi la cronaca è piena. Qui bisogna partire dal presupposto che alla base del legame che unisce il personaggio al pubblico vi è l’attività che lo ha reso noto. E la soluzione va trovata tenendo presente, come imprescindibile parametro di valutazione, l’incidenza del fatto privato sull’attività, ossia sul nesso che lega il personaggio al pubblico. E’ la soluzione offerta dallo stesso art. 6 del codice di deontologia dei giornalisti, il cui comma 2° stabilisce che “La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica”.
Si tratta di un giudizio delicatissimo, che va quindi improntato alla più rigorosa obiettività. L’incidenza del fatto privato sull’attività pubblica del personaggio non può riferirsi a parametri soggettivi, come la rappresentazione o l’idea che l’opinione pubblica ha di quel personaggio, o anche morali; altrimenti qualsiasi fatto sarebbe rilevante e divulgabile, a prescindere dal suo collegamento con l’attività. Bisogna, cioè, valutare l’incidenza che il fatto privato può avere obiettivamente sul legame che unisce il personaggio al pubblico. Alcuni esempi saranno utili.
Si prenda il caso della modella Kate Moss. Che abbia sniffato cocaina in uno studio di Londra insieme ad amici è un fatto privato, in quanto non può in alcun modo incidere sulla sua attività di testimonial e di modella. Diverso è il fatto, diffuso successivamente, del suo ricovero in una clinica per cronica intossicazione da cocaina. Una tale condizione, incidendo sull’attività che lega Kate Moss al pubblico, ne suscita il legittimo interesse.
Quindi, in presenza di un’attività caratterizzante il personaggio e che costituisce la causa della sua notorietà, la divulgazione di un fatto privato è legittima se e nella misura in cui fornisca al pubblico elementi per una riconsiderazione del rapporto con il personaggio stesso. A ben vedere, la soluzione è conforme ai principi del diritto di cronaca. Divulgando un fatto privato destinato ad incidere sull’attività del personaggio si rispetta il requisito della verità, poiché in questo modo si forniscono al pubblico gli elementi per ricostruire il rapporto con il personaggio su basi veritiere. Nascondendo il fatto, il rapporto verrebbe viziato da una falsa rappresentazione della realtà, mutata proprio a causa del fatto privato. Se non venisse reso noto che è stato accertato l’uso sistematico di illecite sostanze dopanti da parte di un famoso atleta, il pubblico continuerebbe a credere nella genuinità delle sue performance. Un rapporto, cioè, basato sulla falsità.
Se invece venisse divulgato un fatto privato che non ha alcuna incidenza sull’attività pubblica del personaggio, ne deriverebbe la gratuita demolizione della sua immagine, perché l’acquisizione della notizia non sarebbe in alcun modo utile al pubblico. Deve quindi rimanere confinato all’interno della sfera privata tutto ciò che obiettivamente non incide sul nesso che lega il personaggio al pubblico. Solo così si possono evitare dannose quanto odiose strumentalizzazioni. Si ricorderà il caso dell’attore inglese Hugh Grant, sorpreso nel giugno 1995 dalla polizia di Los Angeles mentre faceva sesso in auto con una prostituta, obbligato dai suoi produttori alle pubbliche scuse dopo essere stato illegittimamente consegnato al pubblico ludibrio dai media di tutto il mondo. Per non parlare, poi, di Lapo Elkann, il rampollo di casa Agnelli finito in coma per overdose da cocaina nell’ottobre 2005, vicenda che ha fatto emergere particolari intimi della sua sfera sessuale e di cui si parla diffusamente in Il caso Elkann.
Sotto questo aspetto, ben diverso sarebbe se in simili situazioni fosse colto non un attore, ma il famoso politico coniugato che si presenta insistentemente ai propri elettori come strenuo difensore dei valori della famiglia. Qui la divulgazione del fatto privato assolverebbe ad una funzione sociale, poiché ristabilirebbe il rapporto tra politico ed elettori in termini di verità, rapporto che è alla base della scelta di quel politico come delegato nella gestione della cosa pubblica.
In mancanza di qualsiasi nesso con l’attività del personaggio pubblico, il fatto privato potrà essere legittimamente divulgato, oltre che in presenza di un suo espresso consenso, soltanto quando risulti che il personaggio ha implicitamente rinunciato a considerarlo “riservato” attraverso un comportamento pubblico. E’ il caso, già citato, del vip al ristorante, nonché di tutti quei personaggi che spesso si trovano a fare i conti con La cronaca scandalistica. Questo tipo di cronaca si nutre anche dei comportamenti di quei soggetti la cui notorietà non deriva da particolari meriti, o meglio, da una professionalità definita. Personaggi, cioè, che acquisiscono fama per il solo fatto di apparire in video. Gli esempi sono numerosi, a cominciare dai partecipanti ai vari reality. Il legame con il pubblico che simili personaggi possono vantare è del tutto privo di sostanza, essendo costruito essenzialmente sulle loro comparsate in tv. Essendo la loro presenza finalizzata non ad offrire al pubblico una particolare competenza, ma a far parlare di sé, nei loro confronti il diritto al pettegolezzo acquista una particolare rilevanza, essendo l’unico tipo di cronaca loro riferibile.
Al genere della cronaca scandalistica va ricondotta anche la divulgazione dei comportamenti di quei soggetti dalla notorietà del tutto involontaria. Si pensi ai membri della Famiglia Reale inglese, quotidianamente inseguiti da cronisti a caccia di uno scoop. La loro è una notorietà di tipo parassitario, svincolata da qualsiasi caratterizzazione del personaggio e pressoché costante fin dalla nascita. Il loro legame con il pubblico deriva esclusivamente dall’essere gli eredi al trono di Inghilterra. Qui qualsiasi fatto privato è suscettibile di assumere rilevanza pubblica. E, peggio ancora, il giudizio finisce per essere condizionato da valutazioni di tipo moralistico, peraltro giustificate dallo stesso anacronismo che avvolge l’istituzione monarchica. Purtroppo, per questi personaggi, l’essere colti ubriachi ad una festa privata costituisce fatto di interesse pubblico.
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